L'addio a Gino Strada, sempre dalla parte dei deboli e della nonviolenza
Quell'ultimo articolo sulla tragedia dell'Afghanistan di questi giorni: "Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stato un disastro per tutti. Oggi l'esito di quell'aggressione è sotto gli occhi di tutti: un fallimento". L'eredità profonda di un uomo sempre stato ostacolato dai governi, di destra e di sinistra, e inviso a decine di politici
IL LUTTO È morto Gino Strada. Il fondatore di Emergency aveva 73 anni
VIDEO Una vita contro guerre e violenza
L'AMICO Padre Zanotelli: "Gino aveva capito l'assurdità di questo sistema"
ROMA. "Quando si bombarda si chiama guerra. Poi si possono utilizzare tutti gli aggettivi che si vuole, ma rimane sempre guerra".
Si è sempre schierato, Gino Strada.
Fino all'ultimo, firmando dalla Normandia dove era per una breve vacanza un editoriale su La Stampa, per commentare la situazione in Afghanistan, 24 ore prima di morire: "Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stato un disastro per tutti. Oggi l'esito di quell'aggressione è sotto gli occhi di tutti: un fallimento".
E non ha mai fatto nulla per nasconderlo, in una società in cui il politicamente corretto è l'unica via per entrare nelle stanze del potere. Scegliendo sempre la strada, meglio se polverosa e in una qualche periferia del mondo, dove la felicità è una protesi per un ragazzino al quale una mina antiuomo prodotta in Occidente ha fatto saltare una gamba e vederlo tornare a camminare.
"E' morto felice", racconta la presidente di Emergency Rossella Miglio sottolineando che aveva qualche piccolo problema di cuore ma nulla che potesse far pensare ad una scomparsa così improvvisa.
"Nessuno se l'aspettava. E' una perdita enorme per il mondo intero, ha fatto di tutto per renderlo migliore".
Ed in effetti la sua creatura, fondata 25 anni fa assieme alla moglie Teresa Sarti, scomparsa nel 2009, da allora è cresciuta fino ad arrivare in 18 paesi e diventare l'unica speranza di vita per milioni di persone. Era il 18 luglio del 1994, come budget c'erano 12 milioni di lire e il posto era il Ruanda devastato dalla guerra civile.
Poi è arrivato l'Afghanistan e il Sudan, l'Iraq e la Sierra Leone.
Cure mediche e chirurgiche gratuite per tutti.
Buoni, presunti buoni, cattivi e presunti cattivi. Senza distinzione.
Quasi 11 milioni di persone assistite. Un'enormità.
"Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, é semplicemente giusto. Lo si deve fare".
A nome di tutto il governo, il presidente del Consiglio Mario Draghi gli ha reso omaggio. "Ha trascorso la sua vita sempre dalla parte degli ultimi, operando con professionalità, coraggio e umanità nelle zone più difficili del mondo".
"Ha recato le ragioni della vita dove la guerra voleva imporre violenza e morte - sono le parole del capo dello Stato Sergio Mattarella - Ha invocato le ragioni dell'umanità dove lo scontro cancellava ogni rispetto delle persone". Ruvido, spigoloso, diretto, divisivo, Gino Strada era però un uomo capace e con una rara determinazione.
Nato a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d'Italia, è sempre stato ostacolato dai governi, di destra e di sinistra, e inviso a decine di politici compresi molti di quelli che oggi fanno a gara per celebrarlo assieme ad artisti, personaggi famosi e non.
Amato come un padre e un maestro dai volontari.
"Ora scriveranno tante belle parole - dice uno di loro, Fabio Farneti, su Instagram - anche quelli che ti hanno sempre odiato.
Secondo loro non potevi curare tutti i feriti, non quelli che loro consideravano terroristi. Come se in guerra esistessero feriti di serie A e B".
I cinquestelle lo inserirono nelle 'Quirinarie', il sondaggio lanciato per scegliere il candidato al Colle. Strada fu secondo. Ma quando nacque il governo gialloverde non fu tenero.
"Quando alla fine si è governati da una banda dove una metà sono fascisti e l'altra coglioni, non c'è una grande prospettiva per il paese".
Matteo Salvini, con il quale gli scontri sono stati ripetuti, oggi mette da parte le "diversità politiche" e parla di un "uomo di valore".
.La figlia Cecilia, che per anni dopo la scomparsa della madre ha diretto l'associazione, è in mezzo al Mediterraneo a bordo di una nave della Ong 'ResQ People' per soccorrere i disperati che attraversano il Mediterraneo. E anche questo dice molto di quali valori abbia trasmesso Gino Strada.
"Il mio papà non c'è più, ma non posso rispondere ai vostri tanti messaggi perché sono qui, dove abbiamo appena fatto un soccorso e salvato vite. E' quello che mi ha insegnato lui e la mia mamma".
Nel 2015 ricevette il Premio Nobel alternativo. E anche davanti ai membri del Parlamento svedese fu diretto: "Ho visto i feriti e i morti, ho operato migliaia di persone, ferite da frammenti di bombe o missili. A Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di 1200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari. Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. Quindi è questo "il nemico"?".
Il suo nome era tornato buono anche per la scelta del commissario della sanità in Calabria. "Non sono disponibile a fare il candidato di facciata ma metterei a disposizione la mia esperienza solo se ci fossero la volontà e le premesse per un reale cambiamento". Giù il solito putiferio di polemiche.
"Ma cosa c'entra - tuonò il presidente Nico Spirlì - la Calabria è una regione d'Italia, non abbiamo bisogno di medici missionari".
Non se ne fece nulla, ovviamente.
Due anni fa, a Venezia per un documentario sulle Ong, aveva individuato quello che è uno dei problemi di questi tempi, l'odio sui social, soprattutto verso i più deboli.
"In 70 anni non ricordo di aver visto un altro momento con così tanto odio sociale e disprezzo per chi sta sotto. Un poveraccio è visto quasi come causa dei problemi degli altri".
Ancora una volta gli ultimi, quegli stessi che popolavano i suoi sogni realizzati, gli ospedali in giro per il mondo, e quelli rimasti tali, l'ospedale in Italia: "Non vogliamo sostituirci ma dare una mano a chi non può neanche pagare il ticket. Un ospedale pubblico davvero, dove il profitto non esista". Schierato, sempre.
Inhtanto i tragici fatti di questi giorni in Afghanistan, come aveva sottolineato lo stesso fondatore di Emergency, indicano quanto fosse lungimirante l'analisi e la posizioni di chi, come Gino Strada, diceva no alla guerra, senza se e senza ma.
I Talebani avanzano verso Kabul ormai quasi senza combattere, con i governatori che consegnano i capoluoghi di provincia e si danno alla fuga.
Ma mentre gli insorti sono arrivati a una cinquantina di chilometri a sud della capitale, nel nord alcuni dei signori della guerra dell'ex alleanza anti-jihadista potrebbero decidere di resistere ad oltranza, e il Paese, avverte il governo britannico, rischia una nuova "guerra civile", mentre scontri sono possibili anche tra diverse fazioni talebane.
Pol-i Alam, capoluogo della provincia di Lowgar, è la città più vicina a Kabul conquistata nelle ultime ore dai Talebani, che in una settimana si sono impadroniti di oltre metà dei 34 capoluoghi del Paese.
La sua caduta è avvenuta dopo che "la maggior parte delle autorità sono fuggite a Kabul" senza opporre resistenza, ha sottolineato un consigliere provinciale.
Lo stesso era avvenuto giovedì a Ghazni, 150 chilometri a sud-ovest di Kabul, consegnata ai jihadisti in cambio di un lasciapassare dal governatore, Mohammad Davud Laghmani, che poi è stato arrestato dalle forze governative mentre fuggiva. Scenario non diverso a Kandahar, nel sud, seconda città del Paese e culla dei Talebani.
I massimi rappresentanti delle istituzioni governative hanno potuto andarsene in cambio della resa e oggi, ha riferito all'Ansa Alda Cappelletti, direttore delle operazioni della ong Intersos, i Talebani si sono messi al lavoro per riorganizzare il governo locale, chiedendo a tutti gli impiegati pubblici di tornare regolarmente al lavoro, mentre solo i capi dei vari dipartimenti sono stati allontanati.
A Herat, nell'ovest del Paese, anche il leggendario signore della guerra Ismail Khan, che per decenni ha combattuto le forze d'invasione sovietiche e poi i Talebani, si è lasciato catturare dagli insorti.
Kabul si prepara ad un eventuale ingresso degli insorti nella capitale.
Dopo la decisione degli Usa e della Gran Bretagna di ridurre al minimo il personale nelle proprie sedi diplomatiche - con Washington che invia 8.000 soldati tra l'Afghanistan e la regione del Golfo Persico - altrettanto ha fatto la Germania, e altri Paesi hanno deciso per la chiusura, come la Danimarca e la Norvegia.
Ma la Nato, ha fatto sapere il segretario generale Jens Stoltenberg, "manterrà la sua presenza diplomatica a Kabul".
"Il nostro obiettivo resta quello di sostenere il più possibile il governo afghano e le forze di sicurezza", ha aggiunto Stoltenberg, mentre i partner dell'Alleanza si consultano sulla situazione.
E la Farnesina fa sapere di essere in costante contatto con il Dipartimento di Stato Usa.
Ma c'è ancora una speranza che possa essere evitata un'offensiva finale sulla capitale.
Mentre si attende una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la Cnn India ha raccolto voci su una possibile proposta di pace elaborata da non meglio precisati mediatori, che prevede le dimissioni del presidente Ghani e la formazione di un nuovo governo di coalizione in cui entrino anche i Talebani, che hanno già promesso una "amnistia generale" per chi ha collaborato con l'attuale governo.
La Russia sembra crederci. "I Talebani non avranno la possibilità di prendere Kabul in un futuro prevedibile", ha affermato l'inviato di Mosca Zamir Kabulov, sottolineando che l'ambasciata russa non verrà chiusa.
Ma il ministro della Difesa britannico si dice convinto che l'Afghanistan "sta andando verso una guerra civile", perché, come ha imparato a sue spese Londra fin dall'Ottocento, è "un Paese governato da signori della guerra e da diversi clan".
Nel nord, in particolare, resistono le forze del signore della guerra uzbeko e vicepresidente della Repubblica Abdul Rashid Dostum, che Ghani è andato ad incontrare qualche giorno fa a Mazar-i Sharif. Ma rese dei conti, avverte Wallace, potrebbero avvenire anche tra le diverse fazioni in cui sono divisi i Talebani.
Tra queste, secondo diversi analisti, sembra aver guadagnato maggior potere negli ultimi tempi il gruppo facente capo a Sirajuddin Haqqani, che secondo un rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza dell'Onu farebbe anche parte della leadership di Al Qaida.