Il monologo di Francesca Fagnani a Sanremo, scritto con i ragazzi del carcere minorile di Nisida
I giovani detenuti intervistati dalla giornalista «scontano la loro pena senza cercare la nostra pena, perché non se ne fanno niente»
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SANREMO. Il monologo di Francesca Fagnani a Sanremo è stato scritto con i ragazzi del carcere minorile di Nisida «che scontano la loro pena senza cercare la nostra pena, perché non se ne fanno niente».
«Non siamo animali, non siamo bestie, né killer per sempre, vogliamo che ci conoscano», hanno detto alla giornalista. «Hanno picchiato, rapinato ucciso, ma se si chiede loro perché, non trovano la risposta che vorrebbero avere, la cercano, la abbozzano, ma non esce perché è inutile cercarla così, bisogna andare al giorno, al mese, alla vita prima. Hanno 15 anni e gli occhi pieni di rabbia e vuoto, hanno 18 anni e lo sguardo perso o sfidante, chiedono aiuto senza sapere quale. La scuola l'hanno abbandonata, ma nessuno li ha mai cercati, non la preside né gli assistenti sociali, né le madri o i padri che quando c'erano non ce l'hanno fatta».
«Parlando con tanti detenuti e chiedendo loro “cosa cambieresti?” - ha raccontato la conduttrice di Belve - in tanti mi hanno risposto: “sarei andato a scuola”. Se nasci in quel quartiere, palazzo o da quella famiglia è solo nei banchi di scuola che puoi intravedere la possibilità di una vita alternativa. Lo Stato non può esistere solo attraverso la fondamentale attività di repressione delle forze dell'ordine, deve combattere la povertà scolastica, offrire pari opportunità ai più giovani».
«È una questione di democrazie, uguaglianza e rispetto della Costituzione. Lo Stato deve essere più sexy dell'illegalità. In Italia la prigione serve a punire il colpevole, non a educare né a reinserire nella società. Un autorevole magistrato che ha condotto inchieste importantissime (Nicola Gratteri, ndr) ha detto “sono contrario allo schiaffo in carcere, nelle caserme, un detenuto non deve essere toccato nemmeno con un dito perché non deve passare per vittima”. Ma la ragione per cui non va picchiato non è questa, ma perché lo Stato non può applicare le leggi della sopraffazione e della violenza».
«Se non faremo in modo che un giovane, quando esce dal carcere, sia migliore di come è entrato, sarà un fallimento per tutti. Se non ci arriviamo per umanità, o in nome dell'articolo 27 della Costituzione, facciamolo per egoismo, perché conviene a tutti che un rapinatore, uno spacciatore, una volta fuori, cambi mestiere», ha concluso Fagnani.