Bergamo, secondo la Procura la «zona rossa» avrebbe evitato quattromila morti
I pm: «Gli indagati avevano a disposizione tutti i dati per estendere la zona rossa alla Val Seriana già dal 28 febbraio 2020. C’è stata un’insufficiente valutazione del rischio». Le accuse contestate a vario titolo sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d'atti d'ufficio e falsi
INDAGATI Inchiesta sui morti per Covid di Bergamo: anche Conte, Speranza e Fontana
BERGAMO. Il fascicolo, aperto ai primi di aprile 2020 - non molti giorni dopo che quelle immagini delle bare trasportate dall'Esercito avevano fatto il giro del mondo - è stato chiuso dopo tre anni con migliaia di pagine di atti finiti nell'inchiesta sulla gestione della pandemia di Covid e sulla diffusione "incontrollata" dei contagi nella Bergamasca.
L’indagine ora può far finire a processo la classe politica che cercava all'epoca soluzioni in una situazione mai affrontata, ma anche vertici, dirigenti e tecnici delle istituzioni sanitarie nazionali e locali. I pm sono arrivati a rintracciare presunte responsabilità sui due fronti principali dell'inchiesta: la mancata attuazione del piano per contrastare le pandemie, anche se fermo al 2006, e la decisione di non istituire la zona rossa ad Alzano e Nembro, il focolaio della Val Seriana, come invece era avvenuto già il 23 febbraio nel Lodigiano.
Una diffusione che in fece salire alla ribalta l'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, epicentro delle pandemia nella bergamasca dove già, quasi in contemporanea con la scoperta di Paziente 1, erano stati registrati parecchi casi e anche vittime. Questi i temi messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo nell'avviso di chiusura dell'indagine sulla gestione della prima ondata del Covid nella zona più colpita d'Italia.
Indagine in cui gli indagati sono 19, e tra questi l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro Roberto Speranza - per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia - il presidente della Lombardia Attilio Fontana, l'ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera, e vari esponenti di rilievo del mondo della sanità italiana, come Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, Agostino Miozzo coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Silvio Brusaferro, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile.
Le accuse contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d'atti d'ufficio e falsi. C'è stata «un'insufficiente valutazione di rischio», ha spiegato il Procuratore Antonio Chiappani, aggiungendo che "di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione.
Secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, riportata nell'atto, la mancata istituzione della zona rossa avrebbe causato «la diffusione dell'epidemia» in Val Seriana con un «incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati» qualora fosse stata disposta dal 27 febbraio 2020 o da Conte o da Fontana.
«Vergognoso che una persona che è stata sentita a inizio indagine come informata dei fatti scopra dai giornali di essere stata trasformata in indagato - ha sbottato Attilio Fontana - è una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente».