L'esperto trentino Merler ai pm di Bergamo: con la zona rossa anticipata, avremmo avuto la metà dei contagi
L'inchiesta sulle scelte fatte nel marzo 2020 per la val Seriana, l'ipotesi di scenario se la chiusura fosse stata adottata una settimana prima dell'8 marzo a Nembro e Alzano
L'INCHIESTA Indagati anche Conte, Speranza e Fontana
MILANO. "Se misure specifiche per i Comuni di Alzano e Nembro, tipo zona rossa di Codogno, fossero state adottate una settimana prima rispetto all'8.3.2020, mi sento di dire ragionevolmente che avremmo avuto la metà dei contagi".
È un passaggio del verbale, del 7 dicembre 2020, ora agli atti dell'inchiesta della Procura di Bergamo sul covid in Val Seriana, di Stefano Merler, il ricercatore della fondazione Bruno Kessler di Trento, ai tempi consulente del ministero e autore di una prima proiezione sull'andamento del nuovo coronavirus in Italia basato sui dati cinesi allora disponibile e 'secretata'.
Sentito come testimone dai pm bergamaschi il 18 giugno 2020, a raccontare di quei giorni è stato Giovanni Rezza, direttore prevenzione del ministero della salute ed ex direttore malattie infettive dell'Iss.
Giorni in cui, nei palazzi romani, all'ordine del giorno degli incontri tra i tecnici del ministero, Cts e Protezione Civile, si era imposta la questione della Val Seriana, con i morti di covid che si moltiplicavano e un quatro da "catastrofe".
"Mi sembrava - ha detto Rezza - che il presidente del Consiglio non fosse convinto e avesse bisogno di un forte supporto per convincersi della opportunità di istituire la zona rossa" e il 6 marzo "uscii da quella riunione con l'idea che ci fosse indecisione. La mia fissazione restava la necessità" di una misura più restrittiva per Nembro e Alzano Lombardo.
Sentito come testimone dai pm bergamaschi il 18 giugno 2020, Rezza ha raccontato che già a metà gennaio, ai "tempi dell'epidemia a Wuhan", Speranza "era preoccupato" e "diceva spesso di 'cercare di stare un passo avanti rispetto agli altri paesi europei'".
Sulla situazione di Alzano e Nembro ha spiegato di aver "visto una mappa" sulla diffusione del contagio ai "primi di marzo" e di aver "ritenuto che fosse necessario separare questi due comuni da Bergamo; la zona rossa avrebbe "salvaguardato" la città e al contempo avrebbe "rallentato" il contagio nelle due cittadine.
Quanto a Speranza "è sempre stato favorevole all'adozione di provvedimenti restrittivi; anche in Regione Lombardia mi sembrava vi fosse adesione", ma "il presidente del Consiglio" è parso "dubbioso; ho avuto l'impressione che volesse elevare il livello del controllo all'intera regione". Inoltre gli pareva "titubante" anche per un altro motivo: "non distogliere le forze" dell'ordine "da altre attività di rilievo" come la lotta al terrorismo.
Forze dell'ordine ed Esercito che l'allora ministro dell'interno Luciana Lamorgese, il 6 marzo, mandò nella zona per una attività programmata.
Ma Conte "non sapeva" dell'invio di uomini, ha precisato nella sua testimonianza davanti ai magistrati, "proprio perché in quel periodo il fine era di natura preventiva e ricognitiva", e "ove ci fosse stato un Dpcm di 'cinturazione'" sarebbe stato informato.
Una iniziativa quella del numero uno del Viminale dell'epoca che aveva sorpreso, come lui stesso aveva messo a verbale nel maggio di tre anni fa, il Governatore della Lombardia Attilio Fontana. "Mi sono stupito" poichè "dopo non si è più fatta la zona rossa".
Questa incertezza su quali misure prendere in Val Seriana - la cui situazione, come ha detto ai pm Giuseppe Ruocco, allora segretario generale del ministero della Salute, il Cts già sapeva il 1° o il 2 marzo - è un altro degli aspetti sintomatici del caos in cui è piombato il 'sistema' travolto da quella che è stata definita "un'onda anomala, uno tsunami" e per cui ora nell'inchiesta di Bergamo sono indagate 19 persone tra cui Conte, Speranza e Fontana.
"Vi era un piano pandemico vecchio e bisognerà far luce su come e se è stato attuato - ha commentato ieri l'ex viceministro della Salute Pierpaolo Sileri-. Se ci sono state omissioni verranno fuori. Sicuramente qualche problemino c'era ed era un problema di alcuni vertici del ministero che probabilmente negli anni non avevano provveduto ad aggiornare ciò che era un atto dovuto".
A testimoniare quanto in nostro Paese fosse "impreparato" e "indeguato" a gestire la pandemia c'è anche lo sfogo di Andrea Urbani ex direttore della programmazione del ministero e tra gli indagati. "Ci sono tante cose da fare, ma noi siamo totalmente destrutturati al ministero. Direzioni deboli e incompetenti e assenza di seconde linee. - scriveva l'8 aprile a Goffredo Zaccardi, capo di gabinetto di Lungotevere Ripa -. L'assenza della prevenzione in questa vicenda è assordante, io non riesco a fare tutto. Per favore datemi persone intelligenti e capaci".
E questo mentre dopo il caso di Paziente 1 e la chiusura dei 10 comuni del Lodigiano "all'estero si pensava che l'Italia stesse 'iper-reagendo' rispetto alla situazione", aveva raccontato ai magistrati Walter Ricciardi all'epoca consigliere dell'allora ministro Roberto Speranza.