Corte costituzionale: illegittime alcune disposizioni dell'autonomia differenziata
Ma la consulta non ritiene fondata una questione di costituzionalità dell'intera legge. Nel mirino però specifiche parti del testo, che il Parlamento è chiamato ad adeguare. Fra queste, la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali per finanziare le funzioni trasferite alle Regioni
ROMA - La Corte costituzionale ha ritenuto "non fondata" la questione di costituzionalità dell'intera legge sull'autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece "illegittime" specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.
"Spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall'accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge", si spiega nella nota della Corte Costituzionale in tema di Autonomia.
"La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale".
Secondo la Consulta, "La distribuzione delle funzioni legislativa e amministrative tra Stato e Regioni "non" deve "corrispondere all'esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico" ma deve avvenire "in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione".
É, dunque, "il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni".
La Consulta ritiene in linea con la Costituzione il fatto che, nella legge sull'Autonomia, i provvedimenti sulla legge di differenziazione non siano riservati solo al governo e che, su questo, la Camere del Parlamento abbiano un potere di emendamento rinegoziando l'intesa.
Inoltre la Corte ritiene costituzionale la limitazione della necessità di predeterminare i Lep ad alcune materie e il fatto che, se il legislatore qualifica una materia come 'non Lep', i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Risulta in linea con la Costituzione anche l'individuazione delle risorse destinate alle funzioni trasferite, che non avverrà sulla base della spesa storica, ma prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato (a suo carico) per la copertura delle spese, nonostante la devoluzione.
Nessuna incostituzionalità anche per la clausola di invarianza finanziaria, la quale richiede che - al momento della conclusione dell'intesa e dell'individuazione delle risorse - "si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari".
La Consulta ha individuato l'incostituzionalità della "possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l'andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che - dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all'esercizio delle funzioni trasferite - non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni", spiega la nota della Consulta sull'Autonomia.
Secondo la Consulta, "la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l'aggiornamento dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), e il ricorso alla determinazione dei Lep attraverso il Dpcm, sono tra i profili della legge sull'Autonomia ritenuti incostituzionali".
Inoltre la Corte costituzionale ha ravvisato l'incostituzionalità anche riguardo al conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali priva di idonei criteri direttivi, da cui ne conseguirebbe che la decisione sostanziale venga rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.