Nel terremoto l'Italia si scopre civile e moderna

di Fabrizio Franchi

E' triste, è difficile, è doloroso, a volte il lavoro del giornalista.

Alle tragedie in qualche modo ci si fa il callo. Si deve. Sei come il medico, il quale deve ignorare il dolore del paziente altrimenti non opererebbe più. Così il giornalista: se vuole raccontare i drammi non deve farsi coinvolgere. Non è cinismo, ma distacco professionale, perché altrimenti non tireresti avanti. Ma questa volta è diverso. Il terremoto d'Abruzzo è stato un pugno dentro il castello di certezze, dentro l'ingranaggio e i meccanismi dei giornali.

E credo che si sia visto, dai tg, dai giornali, dalle dirette radio. Il giornalismo è lo specchio di un Paese e questa volta ne è stato lo specchio più nobile. Grazie al lavoro instancabile di tanti colleghi, di tanti inviati che sono in terra d'Abruzzo martoriata, a condividere con i terremotati una situazione terribile, tutti noi oggi sappiamo cosa sta succedendo. Conosciamo il dolore e la tragedia, ci uniamo al lutto. Torniamo ad essere Nazione.

Non c'è giornalista che in queste ore non abbia pianto o non si sia commosso davanti alle tante storie, tragiche o belle. Davanti al corpo di una mamma morta abbracciando i suoi figlioletti. I giornalisti hanno pianto – abbiamo pianto – davanti alla storia di Giustino Parisse, collega del Centro che ha perso il padre e due figli che erano tutta la sua vita, Domenico di 18 e Maria Paola di 16 anni. Ci siamo commossi davanti alla composta fierezza degli abruzzesi – un po' orsi marsicani come lo sono i trentini - che hanno mantenuto dignità anche nel disastro.

I giornalisti hanno raccontato storie bellissime, ma soprattutto hanno dimostrato il grande valore del giornalismo italiano, raccontandoci senza partigianerie – e qui credo sta il punto di novità – di un Paese come l'italia, che a differenza di calamità del passato, ha dimostrato che lo Stato c'è. Lo ha detto Silvio Berlusconi, ma si è capito che era una frase sentita. Tutti hanno saputo dimostrare senso dello Stato. Le autorità, l'opposizione, i soccorritori. Le polemiche sono stantie in queste ore. La macchina dei soccorsi, checché se ne dica, si è messa in moto immediatamente, la mattina stessa, con tutti i problemi che sono inevitabili durante emergenze come queste.

La verità è che ci stiamo dimostrando un paese civile e moderno, nella tragedia. Non i soliti italiani campioni del vittimismo, ma al contrario un popolo che sa come affrontare le emergenze. Dopo si faranno i conti. Scopriremo chi ha rubato sugli appalti, chi ha risparmiato sul cemento, chi sono i palazzinari che hanno causato questo disastro. Ma questo dopo. Ora c'è da pensare ai sopravvissuti e a seppellire quelle centinaia di italiani morti.

In questo ritrovato clima di solidarietà nazionale persino Silvio Berlusconi si sta dimostrando meglio del solito gaffeur dei vertici. Si è precipitato subito in Abruzzo; ci è tornato 24 ore dopo; ha costretto metà dei ministri a visitare i campi degli sfollati. Ha tenuto discorsi di grande sobrietà, di grande civiltà. Gli è scappata qualche parola di troppo, ma è stato misurato. Insomma, così lo vorremmo sempre. E anche sulla questione degli aiuti internazionali, diciamolo, ha detto le cose come stavano: “Siamo un popolo fiero e di benessere, quindi ringraziamo ma invitiamo i paesi stranieri a non inviare qui i loro aiuti”.

In queste parole c'è tutto: siamo un Paese di benessere, quindi ringraziamo, ma facciamo da soli. Appunto: signori, l'Italia è ferita, è in lutto, ma non è più stracciona.

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