Torino copia Trento e spende il doppio
Si è tenuta la settimana scorsa a Torino la Biennale della Democrazia. Cinque giorni di incontri, dibattiti, convegni, tavole rotonde su un tema vitale per la nostra società. Un appuntamento che sarà ripetuto e che vuole accompagnarci al 2011, il 150° dell'Unità d'Italia, un momento che Torino vuole celebrare con grande enfasi – giustamente – perché è l'anno fondante della Nazione di cui è stata la prima capitale.
I cinque giorni piemontesi sono stati di grande valore e di grande spessore, hanno toccato tutti i punti che fanno ricca la democrazia partecipativa e deliberativa. Gli aspetti legislativi, dei diritti, della legalità, della convivenza civile, hanno trovato una cassa di risonanza notevole e importante. Nulla è stato ignorato: dalla politica, alla comunità, dai problemi dell'informazione a quello dei diritti-doveri dei cittadini, dalle culture dei movimenti al futuro dei partiti, senza dimenticare le spine della democrazia come ad esempio il dibattito sul testamento biologico. Ma c'è stato spazio – un grande spazio - anche per la satira, con personaggi come Luciana Litizzetto, Neri Marcorè, Antonio Albanese, Sergio Staino. Insomma un grande momento.
Ma per me, che conosco bene Torino per motivi affettivi e professionali e altrettanto bene il Trentino, questi giorni sotto la Mole li ho vissuti come uno straniamento, perché tutto era un deja vu. Tutto era uguale al Festival dell'Economia. Dalle borse di tela con dentro i depliant informativi, al libriccino del programma, esattamente dello stesso formato del festival dello scoiattolo. E ancora: le casette di legno agli angoli delle piazze che distribuivano materiale ai cittadini, le magliette dei volontari, gli accrediti, per non parlare poi della formula dei dibattiti, degli incontri, delle interviste ai personaggi e poi delle tavole rotonde. L'unica cosa differente era il colore dominante. Da noi l'arancione, a Torino il giallo. Persino alcuni relatori e collaboratori erano gli stessi: come Tito Boeri, il gran visir del Festival dell'Economia di Trento...
Leggendo i giornali, le pagine locali dei quotidiani, ascoltando radio e tv, tutto era però molto più “piemontese”, venivano infatti esaltate qualità tipicamente torinesi: la sobrietà, l'organizzazione dell'evento fatta in economia, al risparmio, senza sprechi di denaro pubblico, aiutati dal grande sostegno dei volontari. Da parte di Gustavo Zagrebelsky, presidente della Biennale torinese e presidente emerito della Corte Costituzionale, veniva ripetuto continuamente il ritornello che le spese erano state molto contenute. Pensando alle spese del Festival dell'Economia, invero sempre un po' fumose (si parla di almeno un milione di euro) mi stupivo dei piemontesi. Mi ha insospettito però che dopo giorni di dibattiti, da nessuna parte venisse scritta la cifra spesa dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte. I risparmi vanno bene, se sono effettivi, non se vengono solo continuamente sbandierati. Così, approfondendo un poco, ho scoperto che a bilancio gli organizzatori bisbigliavano di cifre attorno al 1 milione e duecentomila, cresciute piano piano. E qualcuno oggi sostiene che sia stato speso 1 milione e ottocentomila euro, qualcuno addirittura azzarda due milioni di euro. Non c'è da scandalizzarsi, queste sono spese che hanno ritorni sia turistici, sia culturali e danno tono e qualità ai territori che organizzano gli avvenimenti. Tuttavia, si può affermare che non solo Torino ha copiato Trento nella formula di un evento, ma ha anche speso il doppio.