Incenerire i rifiuti? Il Trentino può puntare molto più in alto
Miè capitato un po' per caso di avvicinarmi alla questione rifiutidomestici cinque anni fa, quando mi fu chiesto di moderare undibattito promosso per informare la popolazione trentina sullepossibili pratiche "pulite" nella gestione di questamateria, nonché su alcuni spiacevoli "effetti collaterali"dell'incenerimento dei rifiuti prospettato dalla Provincia autonomaaffiancata dal Comune di Trento.
Pur occupandomi da tempo ditematiche ambientali, mi ci volle quel dibattito pubblico perafferrare la vastità, la complessità e la portata - concreta esimbolica - della vicenda dei materiali di scarto prodotti dallanostra società. Fino a quel momento avevo sempre trattato il temacon una certa distanza: non lo trovavo attraente, non ne coglievoappieno i risvolti né sul fronte pratico né sul versanteintellettuale.
Perapprofondirlo e contribuire alla diffusione di conoscenza “dalbasso”, nel 2006 ho messo in cantiere anche un videodocumentario,“Civiltà bruciata. La terra degli inceneritori”, autofinanziatoe ora di pubblico dominio nel Web secondo i criteri di una licenzalibera Creative Commons.
Inbreve tempo, grazie all'aiuto di molte persone impegnate da tempo inItalia e all'estero a costruire politiche innovative (puntando allamassima compatibilità ecologica, economica e sociale), ho compresola portata di una serie di dinamiche rivelatrici del drammaticoprocesso di rimozione, distrazione e mistificazione che hacaratterizzato negli anni questa faccenda.
Miè apparso uno scenario torbido: amministratori pubblici preoccupatiprincipalmente di far sparire i rifiuti dalla vista, centri diinteresse industriale che fiutano grandi affari (dai trattamentiprimitivi come le “ecoballe” ai cosiddetti “termovalorizzatori”)con la connivenza di un ceto politico mediocre, cittadinidisinformati, spaesati, a volte irritati e facilmente manipolabili.
Inrealtà, il quadro clinico non giustifica tanta opacità.
Troppiimballaggi
Unpaio di punti, infatti, paiono cristallini, se la premessa è tenderea ridurre criticità e costi sociali/ambientali del fenomeno: 1) ilmercato è inondato da imballaggi (anche a causa del crescenteutilizzo dei Tir come magazzini viaggianti) che vanno drasticamenteridotti e in ogni caso resi nella scelta dei materialistrutturalmente più compatibili con i processi di riciclaggio; 2)parallelamente al contenimento del materiale da trattare dopo il“transito” domestico va massimizzato il livello di riuso e diriciclo che oggi può giovarsi di tecnologie sempre più efficienti.
Inpassato ritardi culturali e tecnologici avevano introdotto, accanto aun problematico sistema di discariche, l'uso di inquinantiinceneritori per far “scomparire” i rifiuti.
Sitrattava di metodi strutturalmente instabili, soluzioni tamponecariche di effetti collaterali; nel caso degli inceneritori, peresempio, basterà pensare alle emissioni (Co2 ma anche micidialidiossine e polveri microsottili che sono un cocktail di veleni) ealle scorie derivanti da un combustibile – i rifiuti – del qualenon si può conoscere la reale composizione.
Conl'andare del tempo, dato che “gestire” questa materia può ancheessere un business, ci si è ben guardati dal mandare giustamente insoffitta il concetto – intrinsecamente inquietante – che gliscarti prodotti dalla società si bruciano (a caso, come residuo “talquale”, cioè così come esce dai cassonetti, oppure selezionandoplastiche, poliaccoppiati, gomme e altra roba molto “calorica”,carta compresa). Si è avviata invece una “evoluzione tecnologica”chiamata “termovalorizzazione”, vale a dire la produzione dienergia elettrica o di teleriscaldamento utilizzando sotto forma divapore il calore generato dall'incenerimento. Operazione che lasciaassai perplessi.
Dilà da ogni valutazione etica, si può osservare che la resaenergetica di questi costosi impianti è sensibilmente inferiore aquella di una centrale termoelettrica; se poi compariamol'incenerimento delle plastiche con il loro riutilizzo o riciclo (dadieci a venti volte più efficiente quanto a recupero energetico), ilsenso economico di questi impianti appare traballante.
Senzacontare che a valle rimane la questione delle ceneri – anchetossiche – prodotte dal bruciatore: rappresentano circa il 25% delmateriale iniziale e per conservarle serviranno discariche specialidi dimensioni maggiori di quanto ci vorrebbe per gestire il residuoinerte dopo un ciclo virtuoso di riduzione, riuso e riciclo.
Mabruciarli crea nuovi problemi
Maallora, perché questo innamoramento di molti amministratori pubbliciper gli inceneritori di “nuova generazione”?
Unarisposta potrebbe risiedere in una curiosa anomalia italiana: illegislatore – per aggirare la normativa europea – ha equiparatol'incenerimento nei “termovalorizzatori” al riutilizzo deirifiuti. Insomma, bruciare sarebbe “ecologico” quantoriutilizzare un vuoto a rendere. Incredibile ma vero.
Enon è tutto: con questo giochetto si sono “assimilati” i rifiutialle fonti rinnovabili di energia e perciò gli impianti diincenerimento vengono lautamente sovvenzionati con fondi pubbliciallegramente sottratti alla vera energia verde (solare, eolicoeccetera).
Ineffetti, senza questo trasferimento di denaro dalle tasche delcontribuente, i floridi bilanci dei “termovalorizzatori” italianicambierebbero volto.
Sembraun quadretto fatto apposta per non mettere realmente in discussionelo status quo del processo di produzione, trasporto e consumo dellemerci.
Ilbello è che, poi, i medesimi amministratori che progettanoinceneritori energivori si spendono in campagne a favore dellaraccolta differenziata, come se non avvertissero un leggero senso diincoerenza. Eppure anche la mente meno allenata riesce a fare due piùdue e capisce che i rifiuti o si bruciano per fare energia o siriducono e si riciclano.
Chefacciamo di un costoso e “redditizio” inceneritore se siamotroppo bravi nella differenziata e alla fine non ci resta quasiniente da smaltire?
Contiche non tornano nemmeno nel caso del Trentino, dove a quanto pare ivertici istituzionali insistono con l'idea di bruciare i rifiuti,analogamente a quanto si fa a Bolzano, che poche decine di chilometripiù a nord sta costruendo un nuovo impianto da 117 milioni di euroche subentrerà a quello che sta inquinando città e dintorni davent'anni.
Capiscoche i decisori pubblici possano farsi una certa idea perchéconsigliati da una tecno-burocrazia probabilmente nonall'avanguardia; ma di fronte a uno scenario dinamico, fatto diinnovative opportunità modello “green economy” oltre che diemergenze ecologiche, ci si aspetterebbe uno scatto che vada oltreuna retorica ecologica provinciale a tratti stucchevole, fatta dimolte parole e di pochi fatti.
Sel'inceneritore è il passato, meglio guardare al futuro
Cisi aspetterebbe, ora, qualcosa del tipo: “Sì, in effetti quasivent'anni fa s'era cominciato a pensare a un inceneritore, poi ilprogetto è maturato via via ma nel frattempo il quadro è cambiato eoggi ci rendiamo conto che possiamo proficuamente intraprendereun'altra strada, più compatibile sul piano ambientale e sociale, cheproietterà davvero il Trentino negli avamposti dell'innovazione edella sostenibilità. Ringraziamo tutti i soggetti che in questi anni– criticandoci - ci hanno aiutato a comprendere questa evoluzione equesto nuovo scenario, pieno di occasioni da declinare nel segno delbene comune”.
Putroppo,invece, per ora il Palazzo tace. E in attesa del suo inceneritore edegli annessi depositi di ceneri contaminanti, il verde Trentinoscopre le sue discariche abusive piene di veleni e altri scenaripreoccupanti (caso acciaieria di Borgo e inquinamento dadiossina, metalli pesanti e polveri sottili in Valsugana) che peranni non erano stati notati dalle istanze provinciali (le indaginisono del Corpo forestale dello Stato, venuto dal vicino Veneto), lemedesime che ora tendono a minimizzarne l'impatto sulla salute umanae sull'ambiente naturale.
Quisi potrebbe profittevolmente aprire una lunga e articolatariflessione sul tema “autonomia speciale, controllati econtrollori”; ma lasciamo perdere.
Etorniamo ai rifiuti.
Ipotizziamoper un momento che il Trentino decida di investire non piùsull'incenerimento bensì su un modello d'avanguardia basato –accanto a politiche serie per la riduzione degli imballaggi - su unaefficiente raccolta differenziata porta a porta e sul trattamento delpoco residuo in centri specializzati che ormai, come dimostrano datialla mano varie esperienze anche italiane, riescono a riciclare il90% di quel che è rimasto fuori dalla prima selezione domestica.
Trentino,dove andrebbero le scorie tossiche della combustione?
Nelnostro caso, delle 100 mila tonnellate di rifiuti generosamenteprevisti dalla Provincia per l'incenerimento rimarrebbero da gestirein discarica soltanto circa 10 mila tonnellate di residuo inerte esanificato, altro che le 25 mila tonnellate di scorie, in partetossiche, generate dalla combustione.
Peraltrola cifra di 100 mila tonnellate appare sovrastimata e comunqueincompatibile con una “differenziata” seria. Certo, se laraccolta per il riciclo è mutevole, scomoda e talvolta farraginosa,il cittadino viene scoraggiato. La plastica, per esempio, in una zonava conferita nelle campane, in un'altra va portata solo al centromateriali negli orari di apertura, altrove finisce nel porta a porta;senza contare che qui si mette tutto insieme, là bisogna separare ilnylon dai flaconi (poi non più, poi di nuovo...), per non parlare dei poliaccoppiati (tetrapack)...Insomma, una bella confusione.
Epoi magari ti capita, se sei un utente in Valsugana, di ricevere unalettera dall'ente gestore che dopo aver celebrato urbi et orbi, dueanni di seguito, i successi quantitativi della differenziata, ora silamenta dello scarso livello qualitativo della raccolta e introducel'ennesima modifica operativa (quando approderanno all'unicasoluzione sicura, il “porta a porta” completo?).
Appareoltremodo curioso che in autonomia non si riesca a coordinare un modello di raccoltadifferenziata coerente in tutta la provincia.
Lasfida dell'epoca si coglie con prassi realmente innovative
Comunquesia, è evidente che una prassi senza inceneritore è proiettata inun circuito virtuoso che apre scenari di avvicinamento progressivo auna situazione ottimale dove resta quasi niente da “buttare”, siaperché a monte la merce si produce, si trasporta e si consuma piùsobriamente, sia perché a valle si interviene con metodi menoinvasivi (il progetto “Zero Waste” sta prendendo piede in variearee del mondo); al contrario, bruciare i rifiuti significasostanzialmente alimentare le criticità sistemiche che ci stannoportando al collasso (certo, per qualcuno è un'ottima occasione dilucro, vedi il caso campano, ma questa è solo un'aggravante).
Sepoi mettiamo nel conto della valutazione anche l'analisi dei rischisanitari e ambientali connessi con le emissioni dell'incerimento econ la gestione delle scorie tossiche, la difesa di questa opzionepare davvero svuotarsi di argomentazioni convincenti.
Dunque,è conveniente rovesciare la prospettiva.
Puòsembrare paradossale ma, grazie a una rapida evoluzione tecnologica eculturale, siamo di fronte a uno scenario straordinario che offre aidecisori pubblici un'opportunità storica.
Chenel caso del Trentino è enfatizzata dagli strumenti finanziari e diautogoverno disponibili per mettere in atto una vasta alleanza fraenti territoriali, politica, ricerca scientifica e imprenditoria conl'obiettivo di dotare questa terra di un modello innovativo in temadi rifiuti.
Abbandoniamoil passato dell'incenerimento, costruiamo un'architettura per un ciclo efficientee semmai progettiamo, invece, un impianto d'avanguardia per iltrattamento e il riciclo anche del residuo.
Questasì che sarebbe autosufficienza compatibile con il massimo sforzo perla riduzione, il riuso e il riciclaggio dei materiali.
Efinalmente il Trentino si collocherebbe nel gruppo di testa deiterritori capaci di affrontare con l'innovazione almeno una delleemergenze della crisi ecologica. Per le altre, si vedrà...