A parti invertite il governo avrebbe fatto un decreto per fare riammettere il Pd?
Il pasticciaccio brutto delle liste sta ridicolizzando il nostro Paese. I giornali stranieri non ci capiscono più niente e oscillano tra la presa in giro e la preoccupazione di vederci finire peggio della Grecia.
Ma la vicenda è paradigmatica della situazione politica italiana. Delle due l'una: o si è trattato di un pasticcio dovuto al fatto che con la scomparsa dei partiti sono scomparsi pure i funzionari che conoscevano tutte le regole e le liste le presentavano in tempo e con le firme a posto; oppure c'è stata malafede e nel centrodestra c'è una guerra sotterranea di tutti contro tutti. O forse sono avvenute tutte e due le cose. Perché è chiaro che a Roma la mancata presentazione della lista Pdl è dovuta al tentativo di togliere e aggiungere dei nomi all'ultimo momento. E a Milano le firme irregolari si sa che provengono dalla Lega, che aveva girato a Formigoni 500 firme per aiutarlo. Ma gli uomini di Formigoni avevano fatto slittare dal secondo al settimo posto del «listino» un leghista.
Insomma, sgarbi di questo genere, cose così, cose da parenti serpenti o da fratelli coltelli. Cose, insomma, che fanno apparire le liti interne al centrosinistra una pallida cosa.
Ora il decreto «interpretativo» come lo chiamano, con l'avallo di Giorgio Napolitano che è stato messo in mezzo in maniera davvero goffa e che non poteva fare altro e ha pensato soprattutto al problema politico più che giuridico.
La prima domanda da farsi è: ma un qualsiasi cittadino potrebbe permettersi di arrivare in ritardo a presentare documenti in un ufficio pubblico? No. L'obiezione è che non si può escludere il maggior partito dal voto. Un'obiezione giusta, ma giuridicamente debole. La seconda domanda è: a parti invertite il Pdl avrebbe fatto un decreto per fare riammettere il Pd? Ognuno dei lettori cerchi di rispondere onestamente. Per parte la mia la risposta è no. Il centrodestra ha dimostrato cosa pensa di chi sbaglia a presentare le liste. Il caso Trento-Udc insegna.
E ora si è aperto un vulnus enorme, perché ha creato un precedente che varrà per tutte le elezioni future. Lasciamo perdere i tecnicismi sulle competenze tre regioni e Stato, che comunque è mica di poco conto. Altro che federalismo. Quando serve e fa comodo ci si riempie la bocca di federalismo, quando serve il centralismo ecco che Roma ladrona e decretona va benissimo a tutti. Qui c'è il problema che d'ora in poi qualsiasi listarella farà un ricorso sulla presentazione. Altro che sfoltire i partiti, d'ora in poi ce ne troveremo di più.
Inoltre, cosa da non sottovalutare, i decreti vanno convertiti in legge entro sessanta giorni dall'emanazione. Uno dirà: e se non succede? Succede una cosa semplice: che il decreto decade, ma decadendo, perde di efficacia qualsiasi effetto scaturito dal decreto stesso. Quindi? Quindi le elezioni saranno invalidate. Ed è chiaro che se vincer Renata Polverini il decreto sarà convertito, ma se il centrodestra perderà farà decadere il decreto, e a cascata saranno invalidate le elezioni in virtù del fatto che erano viziate in partenza da un decreto non convertito successivamente in legge.
Tuttavia, comunque vada, dopo il voto nel Pdl voleranno stracci e ci sarà la resa dei conti tra Fini e Berlusconi. Sempre che il Pdl non stravinca ovunque. Viste le premesse, sarà molto difficile che avvenga.