Scajola si dimette. Lo ha dovuto fare dopo la fucilata di Feltri
Risate a parte. Scajola deve lasciare. Lascia perché ha capito che l'appoggio di Silvio Berlusconi era venuto meno. E il segnale forte non è stato solo il significativo silenzio di questi giorni, ma il titolo feroce del giornale di famiglia, il Giornale: “Scajola chiarisca, o si dimetta”. Scajola ha capito. E così Feltri diventa ormai il chiaro termometro dell'orientamento del capo.
Del resto la situazione stava diventando insostenibile. Riassumendo: Scajola acquista una casa da 180 metri quadri a fianco del più bel monumento del mondo, il Colosseo, pagando 1 milione 710 mila euro. Di questi soldi, novecentomila euro provengono dalla “cricca”, capeggiata dal costruttore Anemone che ha in mano i grandi appalti pubblici per il G8 svoltosi in Italia. Vengono depositati in banca e prontamente trasformati in 80 assegni che vengono “girati” alle venditrici dell'appartamento.
Ma perché 80 assegni? Perché ognuno deve essere inferiore a 12500 euro, la cifra sopra la quale scattano i controlli fiscali. E perché non devono scattare controlli fiscali? Perché il ministro dichiara nel rogito di aver pagato la casa 600 mila euro per pagare meno imposte.
Ora, già solo questi due fatti, in un Paese normale porterebbero alle dimissioni. Se poi ci mettiamo che i soldi arrivano da un costruttore che aveva ricevuto gli appalti pubblici, la cosa si ingarbuglia. E non è un caso che nemmeno nel Pdl e nemmeno i giornali del centrodestra osino gridare al complotto, alle toghe rosse, al cancro delle inchieste della magistratura e via argomentando con il rosario degli attacchi alla magistratura che abbiamo sentito in questi anni.
E siccome il quadro è difficile, meglio dire che non si sa chi ci ha comperato la casa.
La prossima volta che andate ad aprire un mutuo sperate che qualche benefattore versi sul vostro conto corrente qualche centinaia di miglia di euro