Silvio, Ruby e le parole manipolate
C'è un aspetto in apparenza secondario ed invece di straordinaria importanza nel caso Ruby. Non c'è soltanto lo sfruttamento della prostituzione, la corruzione di minorenni, le bugie di un presidente del Consiglio malato di sesso, l'attacco all'indipendenza della magistratura e a quella che fu la “morale comune”. C'è anche, e per certi versi soprattutto, “La manomissione delle parole”, rubando il titolo di un bellissimo saggio scritto da Gianrico Carofiglio (Rizzoli, 2010), magistrato, scrittore e ora deputato della Repubblica.
“Tutti - avverte Carofiglio - possiamo verificare, ogni giorno, che lo stato di salute delle parole è quanto meno preoccupante, la loro capacità di indicare con precisione cose e idee gravemente menomata. Le parole devono - dovrebbero - aderire alle cose, rispettarne la natura”. Non è così in questa vicenda, a partire dal suo stesso nome: non dovrebbe chiamarsi “caso Ruby”, ma “scandalo Berlusconi”. E non è così perché le ragazze coinvolte non dovrebbero essere definite showgirl, vallette o escort ma semplicemente prostitute, tali e quali a quelle che esercitano la professione nelle strade e negli appartamenti di Trento piuttosto che di Rovereto. Così come il capo del governo non è l'utilizzatore finale, ma un uomo che va a prostitute.
Con Berlusconi e la sua corte celeste i piani invece si ribaltano. “Le perquisizioni nei confronti delle ragazze – ha affermato il premier – sono state compiute con il più totale disprezzo della loro dignità della loro persona e della loro intimità. Sono state maltrattate, sbeffeggiate, costrette a spogliarsi, perquisite corporalmente”. Ma, durante i festini ad Arcore, quale dignità garantiva il presidente alle ragazze mezze nude o travestite da infermiere e poliziotte che, davanti a lui, mimavano affettuosità lesbiche?
È il cavaliere ormai a stabilire il valore semantico delle parole. È la controprova di quanto scriveva Lewis Carroll nel suo “Attraverso lo specchio”: <“Quando io uso una parola” disse Hupty Dumpty in tono alquanto sprezzante, “questa significa esattamente quello che decido io... né più, né meno” “Bisogna vedere” disse Alice “se lei può dare tanti significati diversi alle parole”. “Bisogna vedere” disse Humpty Dumpty “chi è che comanda... è tutto qua”>. Pensiero condiviso dal poeta polacco Czeslaw Milosz: “Chiunque detenga il potere può controllare anche il linguaggio, e non solo con le proibizioni della censura, ma cambiando il significato delle parole”.Così i giudici non sono più coloro che controllano il rispetto delle leggi e accertano i reati, ma diventano “sovversivi comunisti”, che “calpestano le leggi a fini politici e con grande risonannza mediatica”.
Le conseguenze sono nefaste, come si può verificare dall'assuefazione e dall'incapacità di indignarsi e di reagire della gente. Il 30 aprile 1993, all'uscita dall'hotel Raphael, Bettino Craxi venne bersagliato dalle monetine, mentre ora le nostre città saranno invase da cartelloni preparati dal Pdl con la scritta “Noi stiamo con Silvio”. Il pericolo è dietro l'angolo. “Il nazismo – scriveva Victor Kemplerer nel libro “La lingua del Terzo Reich” - si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da queste accettate meccanicamente e inconsciamente... Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non aver alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l'effetto tossico”.
In ballo non c'è il futuro di Silvio ma quello della nazione tutta. “Non c'è nulla di peggio di un tiranno per uno Stato – notava Euripide nelle Supplici -. In primo luogo non ci sono leggi comuni. Comanda uno che si è appropriato delle leggi. E l'uguaglianza non c'è più”. È quanto sta facendo il nostro presidente del Consiglio che non solo si appropria del potere legislativo facendo approvare in Parlamento leggi studiate dai suoi “azzeccagarbugli” per evitargli guai giudiziari, ma si sottrae a quello che la Costituzione individua come il “giudice naturale” ergendosi a giudice di se stesso: “Non c'è stata nessuna concussione, non c'è stata nessuna induzione alla prostituzione, meno che meno di minorenni. Non c'è stato nulla di cui mi debba vergognare”.
La vergogna, appunto. “Quando le esperienze che portano vergogna vengono negate o rimosse – sottolinea Carofiglio nel suo saggio -, provocano lo sviluppo di meccanismi difensivi che isolano progressivamente dall'esterno, inducono a respingere ogni elemento dissonante rispetto alla propria patologica visione del mondo, e così attenuano il principio di realtà fino ad abolirlo del tutto. Curiosamente, che è incapace di provare vergogna non frequenta volentieri neppure la giustizia. La rifugge, nei modi e con gli espedienti più vari. Denigra coloro che la esercitano e la rappresentano”.
A noi, come suggerisce Carofiglio, non rimane che “ribellarci sempre, e in qualsiasi campo. Anche alla manipolazione delle parole: perché già solo chiamare le cose con il loro nome è un atto rivoluzionario”.