Gli sciacalli del nucleare
Adesso possiamo forse parlare degli "sciacalli" del nucleare.Ricordate? Una serie di politici, di giornali e finanche di opinionisti(a gettone e non) si sono precipitati ad aggredire verbalmente quegliimpertinenti che osarono mettere in dubbio la sicurezza del modelloatomico, all'indomani del terremoto giapponese e di fronte alle prime(serie) avvisaglie di fughe radioattive.
C'è pure chi si è gettato a capofitto giànottetempo a distribuire rassicurazioni urbi et orbimentre ancora tremavano i muri delle centrali, con un tempismoche si sarebbe poi rivelato autolesionista minando quel po' che rimanedella credibilità di una folta schiera di opinionisti italiani,quelli che dovrebbero aiutare la democrazia a decidere per il meglio (einvece in genere offrono tristi zuppe riscaldate a caro prezzocollettivo).
Non parliamo, poi, della classe politica nazionale, che in primabattuta, facendo il controcanto ai suoi zelanti commentatori, avevaalzato il muro di gomma ripetendo il mantra "sul nucleare non si tornaindietro", mentre tecnici e scienziati giapponesi già iniziavanoa fasciarsi la testa e a presagire la gravità del quadro clinicoa Fukushima e dintorni (con quel tanto di disinformazione e depistaggitipici del caso).
Mentre in Giappone esplodeva la tragedia, in Italia si sfiorava persinol'avanspettacolo quando nientemeno che il ministro dell'Ambiente si accodava alcoro dei nuclearisti senza se e senza ma; per non dire dellapuntualità con cui arrivavano le contemporanee decisionigovernative destinate a penalizzare pesantemente l'energia fotovoltaicanel Paese del sole. Passano due giorni, la questione si fa semprepiù seria, e il ministro col resto del governo ingranala retromarcia; ma lo fanno sostanzialmente per calcoli elettorali,con le amministrative di maggio e i referendum antinucleari di giugnoalle porte.
Terrore da sondaggio più che un atteggiamento razionale.
Di certo non si può dire che la razionalità stia dallaparte di chi continua a mettere in guardia contro le "scelte emotive".
Allora vale la pena di dare uno sguardo a qualche numero. Cifre, nonsentimenti.
Il piano governativo di rientro dal nucleare, in un Paese che staancora pagando per uscirne dopo i referendum (ora traditi) del 1987,prevedeva (prima della pausa di riflessione di un anno stabilitaqualche giorno fa) l'entrata in funzione della prima centrale nel 2020e successivamente di portarne a termine una ogni anno e mezzo fino adaver dislocato e attivato le altre tre previste in un programma checoinvolge direttamente l'Enel(ente cui fu inibito il business atomico col referendum ma cheè molto impegnato negli affari nucleari all'estero) insieme conla francese Edf. Da tempo l'amministratore delegatodell'Enel Fulvio Conti non perde occasione per entusiasmarci con labontà dell'energia nucleare, ritenendo evidentemente tuttociò compatibile con la presunta promozione delle fontirinnovabili.
Le quattro centrali che si volevano a regime nel 2025 avrebberoconsentito di coprire, nella migliore delle ipotesi, circa il 5-7% delfabbisogno energetico nazionale, a fronte di investimenti pubbliciplurimiliardari (secondo la stima diffusa dal Partito radicale addiritturatrenta miliardi di euro e per un rendimento irrisorio, pari solo al 4%del totale di energia consumata dal Paese).
Ciò significa che per sfiorare la percentuale di produzionenucleare prevista dai fantasiosi piani governativi, il 25% del totale,servirebbe poi un'altra decina di impianti.
La faccenda si fa ancora più complicata se teniamo conto che,prima ancora del disastro giapponese, il processo aveva subito unabattuta d'arresto sull'individuazione dei primi quattro siti: eraannunciata per l'autunno dell'anno scorso e invece a tutt'oggi, aquanto pare, nonostante la macchina propagandistica avviata dal governoe dai media compiacenti, non c'è un territorio che si sia dettodisponibile e la procedura per identificarlo rimane un porto dellenebbie.
Un altro versante razionale della faccenda riguarda il carburante dellecentrali nucleari: l'uranio.
Non si tratta di una risorsa disponibile all'infinito: si calcola che igiacimenti di questo metallo radioattivo si esauriranno nel giro dimezzo secolo, mentre il suo prezzo - a fronte di una domanda crescente- sta conoscendo una moltiplicazione vertiginosa (è passato daisette dollari per libbra del 2001 ai 115 del 2010 con picchi di 135 nel2007).
Sempre sul versante economico, mentre latitano piani seri su risparmioenergetico e diffusione capillare di fonti rinnovabili, va tenuto contoin relazione al nucleare anche del problema dei residui di produzione,le famose scorie radioattive, specie quelle a elevata attività,valle a dire le ceneri della combustione dell'uranio e altri materialiche si trovavano nell'area di funzionamento del reattore. Non sitratta, in questo ambito, solo di individuare una soluzione sicura maanche di verificarne i costi economici per trattamento e stoccaggio(che sono astronomici) e quelli ambientali e sociali potenziali (sitenga presente che questi materiali sono altamente nocivi per periodilunghissimi, dunque vanno messi al sicuro in luoghi altamente protetti,per un tempo paragonabile a un’era geologica...).
Quando non sono depositate nei pressi delle centrali che le hannoprodotte, queste scorie vengono trasferite (con convogli ad altissimorischio) anche per migliaia di chilometri verso centri di lavorazione edi stoccaggio.
Va da sé che questi depositi, così come gli impiantinucleari, presentano il rischio (e costo) aggiuntivo dei possibiliattacchi terroristici e naturalmente sono obiettivi sensibili in casodi conflitti bellici. A proposito, un altro fronte da non sottovalutareper comprendere l'intreccio di interessi non solo economici delle lobbynucleariste è il legame fra la produzione di energia e quella diarmamenti atomici. Molti dei Paesi dotati di centrali hanno prodottoanche la Bomba e chi non lo ha aftto può sempre usare i reattoriper produrre plutonio da destinare all'industria bellica (probabilmentesenza questa applicazione parallela in campo militare, la diffusionedell'energia atomica avrebbe avuto assai meno fortuna...).
Da ultimo di questi brevi e lacunosi appunti, solo un accenno allaquestione sicurezza, solo complementare ad altre ragioni per decidereche il nucleare è una strada da evitare: senza addentrarsi nellecriticità tecnologiche (facilmente documentabili anche online),gioverà ricordare che anche i cosiddetti reattori di terza e diquarta generazione, pur presentando maggiori garanzie, dipendono da unareazione a catena (la fissione nucleare) che presenta elevati marginidi instabilità.
La storia delle centrali nucleari, peraltro, è disseminata diincidenti piccoli e meno piccoli (noti e meno noti), senza contare letragedie quali Chernobyl o le situazioni drammaticamente fuoricontrollo come quella che sta vivendo il Giappone.
E, detto per inciso, giusto per replicare a chi ci bombarda quotidianamente col ritornello che appena Oltralpe ci sono le centrali altrui, non va dimenticato che beccarsi la radioattività a qualche chilometro dagli impianti è cosa assai diversa che essere esposti alle conseguenze di fughe avvenute a centinaia di chilometri.
Sul piano più strettamente etico, correlato al tema sicurezza,la questione è se davvero si può ritenere che il giocovalga la candela, se per un pugno di megawatt l'umanità possarischiare danni irreversibili, una sorta di suicidio potenziale(dettato dalla superficialità, dall'abbaglio del gigantesco business o daun fatalismo vagamente nichilista?).
Detto tutto ciò, mentre anche in Giappone prende corpo unamobilitazione che chiede un processo di uscita dal nucleare, vien fattodi chiedersi chi siano i veri sciacalli e i pasdaran atomiciitaliani: chi semplicemte rammentava agli smemorati che le centralisono un gioco pericoloso e ingannevole oppure chi scendeva in campo conl'elmetto dapompiere per negare l'evidenza e inoltre si permetteva di insultare glialtri?