La teoria del grande imbecille su internet
Commenti e commentatori, anonimato e trasparenza, opinioni e provocazioni.
Da qualche tempo stavo meditando di dedicare un pezzo del blog ai commenti dei lettori su internet. Quelli sul sito dell’Adige, naturalmente, ma anche quelli su altri siti, su Facebook e su altri canali d’informazione online. Si tratta, tuttavia, di un discorso molto ampio e complesso, che chiama in causa più la sociologia e la psicologia che il giornalismo online.
Ho deciso di parlarne oggi (ma credo tornerò sull’argomento, cercando di svilupparne altri aspetti) perché sono molto deluso, ai limiti della rabbia. Ieri, qui sul sito dell’Adige, abbiamo pubblicato un pezzo che io stesso ho scritto per il giornale. (Chiariamo: non voglio parlare di questo articolo perché l’ho fatto io! Niente egocentrismi e narcisismi, fidatevi). Si trattava della storia di un ragazzino del Burkina Faso che ha potuto incontrare Samuel Eto’o. Non voglio spiegarvi tutta la faccenda, vi lascio semplicemente il link in fondo alla pagina. Abbiamo aperto i commenti, nella convinzione che ne sarebbero potuti arrivare molto pochi, magari di complimenti per l’iniziativa o di congratulazioni al ragazzino.
In un giorno e mezzo ne sono arrivati una cinquantina. Alcuni, come preventivato, di gioia per la storia che abbiamo raccontato. Ma molti - e tanti altri sono stati, a mio avviso giustamente, censurati - pieni di astio. Hanno tirato in ballo razzismo, politica, diverse fedi calcistiche: tutti argomenti che, a mio avviso, non c'entravano nulla con la notizia. Non voglio entrare nel merito della questione, e torniamo a parlare di commenti online. In linea generale le persone si comportano peggio quando sanno che la loro identità è segreta. Su internet, ma anche in qualsiasi episodio quotidiano: dentro la nostra macchina siamo poco facilmente identificabili, e quindi ecco che l’alzare il dito medio diventa più facile rispetto ad alzarlo quando si è a quattr’occhi con qualcuno (discorso che vale per tutti, tranne per Bossi che, al contrario, preferisce alzarlo a favore di pubblico e telecamere). Questo fenomeno, sul web, è stato chiamato «Effetto disinibente della rete» ma, nel 2004, è stato coniato un nome, a mio avviso, migliore: «La teoria del grande imbecille su internet». In sostanza se dai a qualcuno un pubblico e gli garantisci l’anonimato lo trasformi in un perfetto imbecille.
Le posizioni sono fondamentalmente due: i favorevoli e i contrari all’anonimato. I primi parlano di timidezza e rispetto della privacy. I secondi vogliono sapere il nome e il cognome di chi commenta gli articoli, perché questo aumenta la qualità dei commenti stessi e mette al riparo da troll (un soggetto che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi. Fonte: Wikipedia) e simili. L’avvento di Facebook ha cambiato un po’ le cose: sul sito di Zuckerberg ci si registra con nome e cognome, è facile sapere dove si abita, il lavoro che uno fa e gli amici che ha. Tuttavia anche su Fb si trovano commenti perlomeno discutibili, conditi da razzismo e parolacce.
Personalmente credo che la differenza la facciano, come in molti aspetti della vita, l’intelligenza e la cultura delle persone. Se un commento è intelligente non mi interessa che sia firmato Luca Rossi o Cip e Ciop.
p.s. Alcune parti di questo blog si ispirano ad un articolo di Farhad Manjoo di «Slate», tradotto anche da «Internazionale».
L'articolo su Abdoul ed Eto'o:
Il sogno è realtà