Un’altra tassa, in pratica!
«Proprio così: è una tassa sulle separazioni e sui divorzi!», rispondo ad un vicino di casa, intento a stendere il bucato. Lui è fresco di separazione (di fatto). Dopo aver constatato la fine del loro matrimonio, la moglie ha optato per un monolcale in città, più pratico e a due passi dal lavoro. Fortunatamente non hanno figli, ma vivono, come mi informa l’interessato, con due stipendi che bastano appena per le necessità quotidiane.
«Proprio così: è una tassa sulle separazioni e sui divorzi!», rispondo ad un vicino di casa, intento a stendere il bucato. Lui è fresco di separazione (di fatto). Dopo aver constatato la fine del loro matrimonio, la moglie ha optato per un monolcale in città, più pratico e a due passi dal lavoro. Fortunatamente non hanno figli, ma vivono, come mi informa l’interessato, con due stipendi che bastano appena per le necessità quotidiane. «È già pazzesco che, per separarsi consensualmente, occorra un processo. E, poi, per divorziare, ancora un altro processo. Adesso ci mancava solo questo balzello!» commenta l’uomo, indignato.
Ha ragione: è paradossale che si infierisca ancora sulle famiglie. La manovra economica recentemente varata (6/7/2011) introduce, tra le altre cose, l’obbligo di versamento del contributo unificato di 37 euro per i procedimenti di separazione consensuale e per quelli di divorzio congiunto, e di 85 euro per i processi di volontaria giurisdizione e per i processi di separazione e di divorzio giudiziali (ossia quando i coniugi instaurano un contenzioso per dividersi). Prima, l’iscrizione a ruolo era gratuita (eccettuate, ovviamente, le spese legali). L’assenza di pretese economiche da parte dello Stato per l’instaurazione di procedimenti di Diritto di Famiglia ha avuto, fino ad oggi, una ragione ben precisa: si tratta, infatti, di una sfera di diritti personalissimi, non assoggettabili a filtri di natura economica. Ora anche questi procedimenti vengono trattati alla stregua degli altri, con costi di accesso alla giustizia davvero pesanti. Anzi, pesantissimi, stando ai recenti aumenti, introdotti con la medesima manovra finanziaria.
Qualche esempio? Aumenti da 4 euro per la fascia di valore più bassa, fino quasi 250 per quella più alta: i contributi unificati degli altri processi oscillano così dai 37 ai 1.466 euro per le iscrizioni a ruolo, a seconda della fascia di valore in cui rientra il singolo contenzioso. «Cosa pensano di ottenere, poi…», commenta sconsolato il futuro separando, con il pensiero rivolto alle scelte fiscali nel nostro paese, prima di rientrare in casa. Ancora una volta, gli do ragione: certamente i problemi strutturali del sistema giudiziario non saranno risolti con questo ingiusto balzello. Pur essendo le separazioni in grande aumento (viene da chiedersi se sia questo il motivo della nuova imposizione: i recenti dati ISTAT ci dicono che nel 2009 le separazioni sono state 85.945 e i divorzi 54.456, con un incremento rispettivamente del 2,1% e dello 0,2% rispetto all’anno precedente) l’introito proveniente da questo genere di tassazione preventiva pare del tutto insignificante, rispetto ad altri possibili settori.
Se, poi, lo scopo è quello di disincentivare l’accesso alla giustizia, non è certo questa la strada, che porta solo a penalizzare ulteriormente i cittadini, già in difficoltà: ritengo che nessuno, in procinto di separarsi, possa cambiare idea per 37 euro in più, e nemmeno per 85. Fermo restando che tale accesso è e deve rimanere un diritto. Non mi resta che girare al mio vicino, la prossima volta che passo davanti a casa sua, la battuta sull’ultima finanziaria, che ieri ho letto nello spassoso blog Spinoza.it, e cioè che si cerca di colpire le famiglie, soprattutto quelle con figli a carico, visto che sono più lente a scappare.