Ammettiamolo: noi amiamo i nostri telefonini
I nostri iPhone, Blackberry o semplici cellulari creano dipendenza? Li amiamo? Sono una droga? Alcuni studi dimostrano di sì
Ho letto un articolo di Martin Lindstrom, studioso di marketing danese e giornalista, scritto per il New York Times. Il titolo del pezzo spiega bene anche i contenuti: «You love your iPhone. Literally». Nel testo si fa riferimento ad una serie di ricerche e test scientifici. I risultati sono, da un certo punto di vista, pazzeschi. Ecco qualche esempio: facendo vedere a delle persone le immagini di prodotti di culto come Apple o Harley Davidson alternate ad immagini religiose e sacre, le reazioni celebrali sono molto simili. Ancora: tra i dieci suoni che suscitano emozioni più forti, la suoneria di un cellulare è al terzo posto. Infine: usare iPhone o Blackberry attiva nel cervello le stesse reazioni di dipendenza che si hanno con droga, alcol, videogiochi o sigarette.
Leggendo questi tre esempi, molti di voi, io compreso, avranno pensato: «Dai Martin, da bravo. Non è mica vero, io non sono così». Però poi ho iniziato ad analizzare, sia me stesso, sia alcune situazioni viste in giro, per strada, in una pizzeria o con un gruppo di amici. Non avranno valore scientifico, ma credo possano riassumere bene la realtà.
Pensate a quando avete il cellulare scarico. L’iconcina della batteria lampeggia, manca poco allo spegnimento e alla morte (morte fisica del telefonino e morte sociale vostra). C’è chi affronta con coraggio la situazione e spegne direttamente il dispositivo. C’è, invece, chi viene preso dal panico ed inizia a pensare a tutte le telefonate e i messaggi che potrebbe perdere.
Oppure, peggio ancora: vi sedete nel vostro ufficio, infilate la mano in tasca o nella borsetta e non sentite il vostro telefono. Ripercorrete la mattinata e lo vedete lì, solo ed abbandonato, sul tavolo di casa. Di sicuro starà squillando e saranno arrivati mille messaggi. Ci si sente isolati, in un certo senso mutilati. A volte lo si lascia in macchina, e allora si tira un sospirone di sollievo, perché fatti due piani di scale si può riavere in mano il proprio telefono.
Due giorni fa ero in pizzeria: su tutti i tavoli c’erano i telefonini. Molti lo avevano in mano, o comunque ogni dieci, quindici minuti, le persone lo prendevano e guardavano lo schermo, quasi a chiedere al telefono «dai squilla». Come quando schiacciamo più volte il pulsante dell’ascensore pensando possa arrivare più in fretta.
Oggi non si ricevono solo telefonate: ci sono le chiamate, ma anche gli sms, gli mms, le email, le notifiche di Facebook e i tweet. Sul telefono abbiamo la nostra agenda, il nostro album delle foto, i video dei momenti più belli, i numeri di amici e parenti. In pratica la nostra vita. 8, 16 o 32 giga della nostra vita.
Martin, in fin dei conti, ha ragione. Molti dei termini che ho usato richiamano a due ambiti, in un certo senso correlati tra loro: quello della dipendenza e quello dei sentimenti. Siamo dipendenti dai nostri telefoni e li amiamo: il primo passo per uscirne è ammettere questa situazione. Io lo ammetto. Adesso, dopo aver risposto all’sms appena arrivato («è per lavoro, giuro», altra tipica scusa), pubblicherò questo blog.