Kony e l'Uganda, la politica  per 100 milioni di persone

Alzi la mano chi sa dove si trova l’Uganda. E alzi anche l’altra chi sa chi sia Kony. «In Africa» è una risposta troppo generica alla prima domanda. E «un rapper» è una risposta sbagliata alla seconda. Tuttavia credo che in molti sappiano rispondere correttamente. Più precisamente credo che almeno 100 milioni di persone nel mondo sappiano rispondere

di Matteo Lunelli

Alzi la mano chi sa dove si trova l’Uganda. E alzi anche l’altra chi sa chi sia Kony. «In Africa» è una risposta troppo generica alla prima domanda. E «un rapper» è una risposta sbagliata alla seconda. Tuttavia credo che in molti sappiano rispondere correttamente. Più precisamente credo che almeno 100 milioni di persone nel mondo sappiano rispondere. E chi non lo sapesse, continui a leggere e, in fondo, clicchi sul video.

Invisible Children è il nome di un gruppo di attivisti californiano responsabile della diffusione del video «Kony 2012», realizzato con l'intento di far conoscere la situazione dell'Uganda e Joseph Kony, criminale di guerra, responsabile del rapimento di molti bambini soldato. Il montaggio (bellissimo) è il classico esempio di un successo virale della rete senza precedenti. Milioni di persone hanno cliccato e guardato, si sono informate e si sono attivate. L’attivismo politico degli anni Dieci, l’abbiamo scritto altre volte su questo blog, si fa in poltrona, con il portatile sulle ginocchia, o in ufficio davanti allo schermo del pc, o in metropolitana davanti al proprio smartphone o iPad. Ma non è questo il punto.

Il video è lungo, per i parametri del web: dura mezz’ora. L’argomento non è propriamente soft, come può essere un montaggio di gol bellissimi o di gaffe televisive. Tuttavia le emozioni, e in quei trenta minuti ce ne sono tantissime, hanno fatto la differenza. E i social network hanno fatto il resto. Call to action, chiamata all’azione, la definiscono i sociologi. In buona sostanza, il messaggio è che se clicchi, se condividi, se ne parli, tu stesso fai cambiare le cose.

Ma torniamo al video. Invisible Children ha ricevuto tantissime critiche, da politici, giornalisti, blogger e semplici cittadini. «Hanno semplificato la realtà ugandese»; «Hanno usato una valanga di soldi per realizzare il filmato invece di impiegargli davvero a favore dei bambini africani»; «Dietro alla campagna ci sono lobby americane che vogliono influenzare la politica estera di Obama in Africa»; «Manca di contestualizzazione e punta troppo sull'aspetto emotivo dell'attivismo online». Il gruppo ha risposto (indovinate un po’, con un video) e le polemiche si sono (in parte) placate.

Un merito, a prescindere da come la si pensi, Kony 2012 lo ha avuto: ha fatto parlare di un dramma. Un caso che in pochi conoscevano e che ora è sulla bocca di tutti. Per far arrivare la notizia a tutti, le strategie sono quelle del nuovo millennio: l’aspetto virale della rete e il supporto di persone famose. Angelina Jolie, Mark Zuckerberg, George Clooney, Justin Bieber, Oprah, Rihanna, giusto per citarne alcuni, hanno aderito alla campagna. Poi il marketing: braccialetti, poster, magliette, foto sono (o meglio erano visto che le scorte sono esaurite) in vendita sul sito ufficiale per supportare l’azione.

In un mese il video su YouTube ha avuto 87 milioni di visualizzazioni. Altri 18 milioni su Vimeo. Altri milioni in tutte le versioni sotto titolate dagli utenti. Più di 100 milioni di persone sanno chi è Kony. Nessuna di questa sa come finirà la vicenda ugandese. Nessuna sa che fine farà Kony. Però, tutto questo, rappresenta l’ennesima dimostrazione di come nulla sia più come prima. 100 milioni di click lo dimostrano.

P.S. Per questa settimana è attesa la Part Two del video.

 

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