Londra 2012, Facebook e Twitter  tra insulti, razzismo e regole

Diceva Bukowski: «I campioni li innalziamo solo perché ne pregustiamo la caduta». E grazie ai social network il tonfo riesce ad aver un’eco fortissima

di Matteo Lunelli

Cercando un po’ di notizie su Twitter e Londra 2012 oppure, più genericamente, sui social network e le Olimpiadi, i primi risultati che trovo sono piuttosto inquietanti. «Morganella, tweet razzista e squalifica»; «Papachristous contro gli immigrati sui social network»; «Yomna Khallaf svela che i prodotti della nazionale sono contraffatti su Twitter». L’ultima notizia è relativa a Magnini, che dichiara: «I social network sono pieni di gente cattiva, me ne vado».

Se quella inglese doveva essere la prima Olimpiade «social», direi che l’obiettivo non è stato centrato. L’idea, promossa anche dal Cio, era quella di connettere atleti e fan, pubblico e giornalisti, per seguire live ogni singolo momento dei Giochi, da quelli ufficiali, ovvero le gare, a quelli più privati. A mettere da subito i bastoni tra le ruote sono stati, come sempre, i soldi: la regola 40 dell’Olympic Charter, infatti, vietava ai partecipanti di diffondere immagini e post che legassero gli atleti a sponsor non ufficiali. Ma non finisce qui. Altra regola: «I tweet devono essere in prima persona, in un formato stile diario e non giornalistico – ovvero non devono riportare fatti su concorrenti o commenti sulle attività degli altri partecipanti o persone accreditate, o rivelare nessuna informazione confidenziale o privata in relazione ad altre persone e all'organizzazione». E ancora: «È proibito agli atleti postare video. Permesso accordato invece per le foto, purché non scattate nel villaggio olimpico».

Se per i partecipanti, quindi, le restrizioni erano parecchie, lo stesso non si può dire per i fan di Facebook e i follower di Twitter. Ma anche loro, nel pieno della propria libertà sociale, non si sono comportati bene. Basta leggere la reazione di Magnini, infuriato - giustamente - per la valanga di insulti (non critiche) ricevute da lui, dalla Pellegrini e dagli altri atleti azzurri. Diceva Bukowski: «I campioni li innalziamo solo perché ne pregustiamo la caduta». E grazie ai social network il tonfo riesce ad aver un’eco fortissima.

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