L'arte di pedinare: ora basta una «app»

Geolocalizzazione. Chiunque possieda uno smartphone sa di cosa stiamo parlando. Ai pochi altri, per farla breve, posso dire che si tratta di sapere dove si trova una persona, in qualsiasi momento

di Matteo Lunelli

Geolocalizzazione. Chiunque possieda uno smartphone sa di cosa stiamo parlando. Ai pochi altri, per farla breve, posso dire che si tratta di sapere dove si trova una persona, in qualsiasi momento. L’uso è semplice e molto diversificato: basta un click per indicare agli amici, tramite Twitter o Facebook ad esempio, che ci si trova in un determinato luogo. E mentre l’amico è davanti al computer dell’ufficio, è bellissimo fargli sapere che “Mi trovo in spiaggia a Cuba” o “Mi trovo in Times Square”.


Esistono anche una serie di applicazioni basate sulla geolocalizzazione, utilissime per pedinare le persone: usandole Bruce Willis avrebbe probabilmente fatto la metà dei film che ha fatto... o perlomeno sarebbero diventati dei cortometraggi, visto che avrebbe geolocalizzato il cattivo di turno in pochi secondi, invece di rincorrerlo per 2 ore di film. Ma oltre ai cattivi, russi o cubani, si possono localizzare altre persone. Magari i figli. Il Corriere  fa un elenco di queste app: «Footprints», «Sms2WhereAreYou», «SecuraFone», «Life360°», «Glympse», «pMonitor», «Lookout», «Gps Phone Tracker». Gratuite e semplici.

Ma perché? Perché usarle? Perché pedinare i figli?


Penso ad una mamma apprensiva, che ha appena dato al pargolo il permesso di uscire in città. E lei, che a Natale ha regalato al neo dodicenne un iPhone nero bellissimo, dal divano di casa lo segue. Eccolo, è in piazza Duomo, che tesoro di bimbo. Adesso va verso piazza Santa Maria. Cavoli, quella zona è pericolosa, sono quasi le 17 e c’è poca luce. Oddio, adesso la sua velocità è aumentata (eh sì, le app dicono anche la velocità di movimento), sicuramente lo stanno rincorrendo e lui scappa. E a questo punto parte la chiamata. Alla polizia e poi al pargolo.
Oppure. La mamma porta il pargolo a casa dell’amico per finire i compiti estivi. E cosa scopre? Dopo un’ora i due piccoli non sono più nella casa a scervellarsi sulle funzioni ma nel parco pubblico. Oddio, di certo si stanno drogando, penserà preoccupata.


Ammetto, ho un po’ esagerato: ma la sostanza è questa. Regalare uno smartphone al proprio figlio permette di seguirlo e controllarlo, sempre. C’è chi lo fa e chi no, ma comunque la possibilità la hanno tutti.
Il punto della questione è che i telefonini hanno cambiato radicalmente la vita e l’educazione di madri, padri e figli. Odio usare il termine «ai miei tempi», però ai miei tempi questo non accadeva. Se mia mamma mi diceva di tornare alle 22 dovevo farlo, non c’era l’sms salvagente «Sono in ritardo». Al rientro riferivo dove ero stato, e la necessità di uscire anche il sabato successivo mi imponeva di raccontare la verità su dove fossi stato. Se avessi raccontato una balla mi mamma mi avrebbe «geolocalizzava» subito. Senza app, ma solo captando un tremolio nella voce o un abbassamento dello sguardo.
Amo il mio iPhone, ma che bello quando non esisteva!

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