Tutti vogliono tagliare Ma a cosa rinunciamo?
In campagna elettorale, si sa, si forzano un po’ i toni. Se ne sentono di tutti i colori, c’è chi fa a gara a spararle veramente grosse. Gli esempi non mancano. Ma anche i leader più credibili e i candidati più seri spesso mancano di spiegare fino in fondo che cosa hanno in mente. Prendo spunto da un brevissimo botta e risposta che ho avuto si Twitter con alcuni candidati di «Fare per fermare il declino», attivissimi sui social network e, bisogna riconoscerlo, molto seri nelle loro argomentazioni. Il punto è questo: tutti, o quasi, parlano di tagli alla spesa pubblica e di risparmi. Obiettivo sacrosanto, in un paese come l’Italia, dove il prelievo fiscale è altissimo mentre non lo è il livello dei servizi offerti.
Ma non basta invocare, o promettere, tagli: bisogna spiegare che cosa si taglia, dove si taglia, quanto si taglia. E soprattutto, bisogna spiegare a che cosa porteranno quei tagli. Perché i tagli non sono una misura indolore. Tagliare la spesa pubblica può voler dire tante cose: ridurre sprechi e privilegi, per esempio. Ma anche aule scolastiche o posti letto in ospedale. Può voler dire far pagare di più i farmaci e le cure, i biglietti dell’autobus, il pulmino scolastico, la mensa dell’asilo, la tariffa rifiuti. O, magari, mandare a casa qualche lavoratore di troppo. E non è detto che sia necessariamente un male, se si salvaguardano le fasce più deboli dei cittadini. Ma va detto, va spiegato chiaramente. Non dobbiamo accettare, a scatola chiusa, la promessa dei tagli alla spesa nel nome di un fisco più leggero. E dunque chi ci promette i tagli, ci deve spiegare a cosa dovremo rinunciare.