Il paradosso del Pd: vincere le provinciali per fare governare Rossi (e il Patt)

di Fabrizio Franchi

 

E ora? E ora che il Pd ha perso le primarie del centrosinistra dopo che il suo vertice le ha volute nel tentativo di legittimarsi quale naturale prosecutore del potere dellaiano?

Ora dovrà interrogarsi – e in fretta – su che cosa fare e sulle ragioni di questa sconfitta. Che credo siano riassumibili in tre questioni fondamentali.

La prima è generale e di delusione di un'area di simpatia che il Pd ha. Delusione per il governo nazionale “innaturale” fatto con il Pdl e un generale “tafazzismo” prevalente nei vertici romani resi inani dalle divisioni correntizie e dall'incapacità di proposizione politica. Un partito sotto ricatto permanente del Pdl che non ha più nulla da perdere e che cerca l'umiliazione del Pd nel tentativo di accrescere le sue chances.

La seconda è trentina. E viene dalle elezioni politiche, quando ha lasciato il via libera a tutte le forzature degli alleati, Upt-Scelta civica e Patt, regalando loro seggi e visibilità e conservando l'incapacità – come a Roma – di dimostrarsi partito leader e di proposta di governo.

La terza è stata la debolezza della proposta, dopo che Alberto Pacher si era dichiarato indisponibile a continuare.

Così, i ventimila trentini che votarono alle primarie nazionali del Pd a dicembre, possiamo dire che si sono divisi in tre tronconi. Una grossa parte, almeno la metà, non è rimasta soddisfatta dell'offerta e si è eclissata. Certo, tra questi c'erano simpatizzanti di Sel, ma non solo. Una parte si è invece diretta su Ugo Rossi. L'autonomista è cresciuto nelle simpatie negli ultimi giorni, in maniera forte. Aiutato in questo dalla stampa che ha fatto lievitare le sue azioni. Rossi è stato sempre presentato come l'umo autorevole, forte, capace e anche lontano da certi folklorismi alla Panizza. Aiutato anche con qualche mossa spiazzante: le interviste a Rossi pubblicate nei giorni più importanti, quelle a Olivi relegate nei giorni peggiori della settimana. Da solo non giustifica nulla, ma ha dato la sensazione nei cittadini che Rossi fosse il vero personaggio forte, che conta. Dall'altra Alessandro Olivi non ha convinto. E' stato visto come uomo d'apparato, cittadino, “urbano” senza essere per questo premiato. E infine i suoi intrecci con il mondo imprenditoriale hanno pesato non poco. Un mondo imprenditoriale che ha fatto il “prenditore” con tanti accordi di salvataggio, salvo poi rovesciargli addosso l'ingratitudine con uno schiaffo gigantesco nel corso dell'assemblea confindustriale. Non solo, i suoi mai chiariti rapporti con gli impiantisti, in particolare folgaretani, non piacciono troppo al popolo di sinistra, che vede gli impiantisti come un ceto di devastatori dell'ambiente e a carico della comunità per gli eccessivi contributi ricevuti. Olivi poi ci ha messo anche del suo. Sempre sfuggente su alcune questioni politiche dirimenti, sempre molto accorto. Troppo accorto, come uno che cammina sulle uova. Anche durante le primarie si è schierato con timidezza con Bersani solo all'ultimo momento. Troppo sgusciante per essere un presidente di Provincia che doveva dettare la linea.

E ora, appunto? Ora l'elettorato Pd è frastornato. Non vuole votare un presidente di Provincia che reitererà gli aiuti agli Schutzen, che vuole la Valdastico, che intende spostare il centrosinistra verso destra e possibilmente emarginare proprio il Pd. Sicuramente partirà la fronda interna che lascerà ferite dentro il partito democratico. Ed è molto forte il rischio che molti elettori Pd non vogliano di nuovo un governo autonomista dopo quello centrista (con venature di destra) di Carlo Andreotti del 1993. E così servirà da parte dei vertici del Pd una grande spiegazione al popolo di sinistra, una grande autocritica e un grande sforzo politico per convincerlo a votare se vuole sperare di essere ancora il primo partito. Perché il paradosso sarà proprio questo: se il Pd non vince, non vince nemmeno Rossi. Se il Pd vince, vince solo Rossi e con lui il Patt.  

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