Pallavolisti, «vite parallele» tra bagher e sacrifici
L’altra sera ero sdraiato sul letto e, facendo un po’ di zapping, sono capitato su MTV dove ho visto uno spezzone del programma “Ginnaste, vite parallele”. Come molti di voi sapranno, questo reality segue la vita di un gruppo di ragazze che dividono le loro giornate tra la palestra e la normale vita studentesca dei loro coetanei. Mi è quindi venuto in mente che esiste una cosa molto simile nella pallavolo: il Club Italia.
Sia per il settore maschile che per quello femminile, la FIPAV (Federazione Italiana Pallavolo) seleziona ogni anno alcuni tra i ragazzi più promettenti in ambito giovanile creando una sorta di mini-nazionale che però partecipa alle competizioni per club. In questa stagione, in ambito maschile, i ragazzi si dividono tra campionato di serie B1 e di serie B2, mentre le ragazze prendono parte al solo campionato di B1. Per comprendere meglio questo mondo mi sono fatto aiutare dal mio compagno di squadra, Alessandro Blasi, che quattro stagioni fa ha vestito la maglia del Club Italia in serie B1.
I ragazzi vengono selezionati durante le sessioni di reclutamento regionale, le finali nazionali di categoria o le selezioni nazionali. In particolare vengono visionati i giocatori che non hanno possibilità di allenarsi con un settore giovanile “forte”, come Trento e Macerata. Alessandro ad esempio è di Trieste e lì non aveva alcuna possibilità di coltivare il suo sogno. A sedici anni ha quindi fatto la valigia ed è partito alla volta di Vigna di Valle, frazione del Comune di Bracciano.
Per un ragazzo di sedici anni lasciare casa e tutti gli affetti non è sicuramente facile. Ecco quindi che i ragazzi hanno la possibilità di poter tornare a casa ogni due settimane a spese della società e, per tranquillizzare i genitori dal punto di vista scolastico, è prevista la presenza di un tutor che segue gli atleti in erba nel loro percorso formativo e la copertura delle spese scolastiche da parte della FIPAV.
La vita a Vigna di Valle si svolge tutta nei pressi della caserma dell’aeronautica militare, dove i ragazzi vivono nei mini-appartamenti situati nei pressi della palestra interna e mangiano presso il ristorante adiacente alla struttura o presso la mensa militare. Le giornate sono abbastanza ripetitive: al mattino sveglia presto per la scuola, dove si recano tutti assieme con un pulmino messo a disposizione della società, mentre al pomeriggio sessioni di allenamento di almeno tre ore, molto curate dal punti di vista atletico e tecnico come nelle giovanili di alto livello. Discorso a parte va fatto per il weekend, quando la squadra disputa la gara di campionato.
Come è facile intuire, la realizzazione di un progetto simile è utile sia per far crescere pallavolisticamente determinati atleti, sia per creare una “base” di gruppo per futuri progetti con le diverse nazionali di categoria. Numerosi infatti sono anche i confronti a livello internazionale con gli omologhi degli altri paesi, come ad esempio la squadra spagnola, e diversi sono gli atleti che negli anni seguenti approdano nelle massime serie nazionali.
La vita che svolgono questi mini-professionisti è molto simile a quella che affrontano i ragazzi che lasciano casa per approdare nei settori giovanili più importanti d’Italia: io che ho giocato a Trento ho condiviso lo spogliatoio con ragazzi di Napoli, Bari, Verona, Padova, Roma. Insomma, ragazzi che cercano di seguire il proprio sogno rinunciando spesso anche a tutto il resto.
Domande che possono sorgere spontaneamente riguardano soprattutto l’entità di questa scelta: a quindici-sedici anni ad esempio un ragazzo è pronto per affrontare un percorso del genere, privilegiando da subito la pallavolo a sfavore di studio o altre esperienze? Personalmente parlando, sono stato molto fortunato a nascere a Trento e a poter coltivare la mia passione “in casa”: sinceramente non so cosa avrei deciso se al terzo anno di superiori mi avessero proposto di lasciare tutto per andare a giocare a pallavolo in una caserma. Alessandro ad esempio ha scelto di proseguire su questa strada, buttandosi in questa nuova avventura ben conscio di sapere a cosa andava incontro: col senno di poi afferma che l’esperienza è stata positiva, sia dal punto di vista sportivo che dal punto di vista umano, poichè si è ben presto abituato all’indipendenza e all’assunzione di responsabilità sia fuori che dentro il campo. La cosa che rimpiange però è stata la mancanza di una “vita sociale” tipica dei ragazzi delle superiori, considerato che le uscite serali erano ridotte al minimo, la maggior parte delle occasioni per stringere amicizie avveniva durante l’orario scolastico e la vita di gruppo si svolgeva dalla mattina alla sera unicamente con la squadra.
Questo mi fa tornare in mente il tema dell’alienazione, di cui ho già accennato in altri post, e che qua viene riproposto in una versione “giovanile”. Ci sarebbe molto su cui discutere, ma per ora mi accontento di avervi descritto questo mondo che non è proprio solo di ginnaste o calciatori.