L’«Ultimate» e lo spirito dello sport
Sempre più spesso nello sport si parla di fair play, del rispetto delle regole e dell’avversario, sottolineando il ruolo chiave di questa componente all’interno delle diverse discipline. Grazie all’aiuto di un’amica, che pratica questo sport, oggi vi voglio parlare dell’Ultimate.
L’Ultimate è uno sport che nasce negli Stati Uniti nel 1968. Si gioca in un campo di lunghezza e larghezza simile a quella di un campo da calcio, nel quale si affrontano due squadre composte da sette atleti ciascuna. Esistono anche le varianti indoor e sulla sabbia e le categorie spaziano dalle classiche maschile e femminile, alla categoria mista. Invece che una palla qua troviamo un disco, il frisbee. I giocatori della squadra in attacco devono passarsi il frisbee senza però poter correre mentre sono in possesso del disco: è punto quando un giocatore in attacco riceve un passaggio dentro l’area di meta avversaria, similmente al rugby. Non è però permesso il contatto fisico, quindi la squadra in difesa deve cercare di intercettare il disco o indurre l’avversario all’errore. Se l’attacco perde il possesso, i ruoli delle squadre si invertono.
La particolarità dell’Ultimate è però l’assenza di qualsiasi arbitro od osservatore esterno: ogni giocatore viene elevato al rango di arbitro e si deve impegnare a rispettare le regole del gioco e a non violarle di sua iniziativa. I “frisbeesti” chiamano questa pratica Spirito del Gioco, che è ritenuta essere requisito fondamentale per poter giocare.
Quando viene commessa un’azione scorretta, come ad esempio una spinta o viene impedito fallosamente il lancio del disco, è lo stesso giocatore che chiama il fallo. A questo punto tutti si fermano, rimanendo nella stessa posizione, finché il problema non viene risolto tra giocatori. Se non si riesce a trovare un accordo, normalmente il disco torna al lanciatore che lo aveva prima della chiamata.
Tutto ciò presuppone un elevato livello di sportività e lealtà che in molti altri sport non è previsto. Non sono previsti né arbitri né sanzioni proprio perché il gioco in sé non prevede trasgressioni: lo spirito dell’Ultimate è quello di evitare la caduta nella logica della “vittoria ad ogni costo”, riportando al primo posto il piacere di giocare e il rispetto per l’avversario. Nello stesso manuale dell’Ultimate viene sociologicamente spiegato come questo sport sia votato all’abbattimento dell’aggressività e al rispetto delle regole: non si tratta di avere un arbitro che faccia da deterrente nei confronti delle azioni scorrette, ma di socializzare, di abituare, i giocatori ad agire in un ambiente che fa del rispetto la sua componente fondamentale. Per fare un esempio ai più sgradito, se nell’Ultimate sgambetto di nascosto il mio avversario sarò mal visto da tutta la comunità sportiva, mentre se lo faccio nel calcio molto probabilmente nessuno ci farà caso dato che è la normalità.
L’idea di partenza è quindi quella per cui ogni giocatore deve astenersi dal fare all’avversario ciò che non vorrebbe mai ricevere o subire: in questo modo tutta la responsabilità ricade sul giocatore, che deve essere dotato di un’elevata sportività e cultura del rispetto.
È abbastanza facile intuire come questo sport riesca ad esaltare una delle componenti più sane dello sport: quel rispetto e quel fair play che tanto si cerca di imporre in molte altre discipline. È altrettanto ovvio che per poter giocare ad Ultimate nella sua essenza, il singolo deve essere abituato a vivere lo sport in maniera diversa rispetto a ciò a cui siamo abituati. Sarà abbastanza difficile per uno sportivo abituato ad altri regimi sportivi, dal calcio, al basket, alla pallavolo, evitare di “fare il furbo”. Per ovviare alle scorrettezze, ad esempio, nel volley si sono inventati il sistema di Video Check, che permette di verificare tramite riprese rallenty ad alta definizione se una palla è dentro o fuori dal campo di gioco, se un giocatore ha commesso invasione a rete ed altro ancora. Nell’Ultimate una cosa del genere sarebbe impensabile, dato che il citato Spirito del Gioco dovrebbe farla da padrone.
Ciò che porta uno sportivo a commettere una scorrettezza è la sete di vittoria: i “freesbesti” però si chiedono “se la ricerca di vittoria è così cieca da sopraffare il livello di lealtà sportiva, allora esiste un problema di fondo nello sport che non andrebbe sottovalutato”.
Voi che ne pensate?