Pd, le promesse mancate e la sfida economica
Dal patto con Silvio Berlusconi al voto sulla parità di genere, il Pd del rottamatore Matteo Renzi appare sempre più ancorato a logiche vecchie: e da rottamare. Domani il governo varerà i primi atti economici davvero significativi. Ultima chiamata per capire se #cambiaverso sia solo uno slogan oppure no.
Di parità di genere ha scritto sabato la collega Luisa Patruno: condividendo in toto il suo pensiero, non ci ritornerò sopra, anche perché l'indignazione per quanto accaduto alla Camera tra lunedì e ieri è talmente forte da diventare inesprimibile, senza ricorrere a improperi.
Vale la pena però sottolineare che il voto di lunedì sera alla Camera, soprattutto quello espresso dagli scranni del Pd, segna un altro passo importante verso lo smascheramento di un vertice democratico che appare sempre più ancorato rigidamente a logiche vecchie e tutt'altro che rottamate.
Dall'accordo con Silvio Berlusconi in poi, Matteo Renzi ha fatto di tutto per smentire se stesso.
Dopo un incarico di governo ottenuto con una manovra di accerchiamento che neanche i più perfidi strateghi della Dc sarebbero riusciti ad attuare, è arrivata la nomina dei sottosegretari e viceministri, per la quale il premier si è dimenticato un'altra delle sue promesse: "Con me, non ci saranno indagati in lista". In lista forse no, nel sottogoverno però sì: ce ne sono quattro, tutti del Pd. Sottogoverno in cui si era già dimenticata la parità di genere, dato che dopo aver piazzato otto donne in prima fila, come ministre (il 50%), in seconda fila ne sono state accomodate solo nove su quarantaquattro (il 20%).
Poi è arrivata la prova sulla parità di genere effettiva in parlamento, data dall'alternanza di un candidato uomo e un candidata donna in liste bloccate: Renzi ha fatto come Ponzio Pilato e, per non disturbare colui che appare finora come l'unico vero vincitore di tutta la partita Italicum (Silvio Berlusconi), ha lasciato libertà di voto ai suoi deputati che, essendo in maggioranza maschi ancorati alla loro poltroncina come i polipi a una roccia, nel segreto dell'urna hanno pugnalato le loro colleghe femmine e tutte le donne democratiche. A occhio e croce sono stati un centinaio, forse 101. La carica dei 101 conservatori.
Dunque, le premesse non sono buone, il #cambiaverso ancora non si vede e ora si arriva al cuore delle faccende domestiche: l'economia che arranca e il lavoro che manca. Oggi il governo varerà sgravi fiscali e Jobs Act.
Vedremo, allora, se l'affabulatore Renzi cederà alla tentazione molto vecchia e molto berlusconiana del consenso facile, provenga esso da lavoratori gratificati da qualche decina di euro in più in busta paga (bruciati probabilmente dagli aumenti delle tariffe e dall'applicazione delle nuove imposte: Tasi, Tares, eccetera) o da imprenditori che vedranno calare ancora i vincoli sul lavoro, in entrata ma anche in uscita (e con tre riforme del lavoro già varate, permettetemi di essere scettica sulle potenzialità occupazionali della quarta in arrivo). O se riuscirà a proporre soluzioni di vera rottura col passato. Per aiutare le famiglie a recuperare vera capacità di spesa, chiedendo sacrifici magari a chi può dare di più; per incentivare processi industriali innovativi coi quali ci sarà bisogno di assumere laureati e tecnici; per rivedere una riforma pensionistica che sta tenendo al lavoro persone stanche e lasciando fuori dal lavoro persone vitalissime, portatrici di nuove idee; per avviare scelte economiche diverse da quelle viste finora, dando una considerevole spinta agli investimenti sull'ambiente e il territorio, la cultura, l'innovazione, la ricerca.