Famiglie «arcobaleno»: cosa pensano i bambini?

Dino Pedrotti

Lunedì scorso non ero all’appuntamento del “blog”, perché avevo appena scritto sul giornale (8 marzo) un articolo su “genitori 1 e 2”, contro quell’egualitarismo di genere per cui “non c’è più padre e madre, cenerentola e principe azzurro”. Su questo argomento c’era una volta un ordine preciso, che – secondo i Capi – era voluto da Dio: i maschi avevano un preciso ruolo di capi-famiglia (e per il Duce erano soldati pronti a morire per la patria) e le donne erano regine della casa (casa-chiesa-bambini, fattrici di soldati e lavoratori).

 

L’omosessualità era ritenuta un “peccato”, un vizio contro natura da nascondere, da condannare; come minimo occorreva emarginare chi ne era affetto o deriderlo. Negli ultimi 50 anni questa cultura maschilista, da sempre presente nel mondo, è sempre più rifiutata e per gli psichiatri l’omosessualità non è più una malattia neurologica. Sono più che d’accordo sul rispetto delle diversità quando si parla di vita affettiva, per cui una coppia può anche essere omosessuale e, se vuole essere riconosciuta nella società, è giusto anche che abbia dei diritti. Basta che non invada i diritti dei più deboli, dei bambini nel nostro caso.

 

Il problema è proprio quello dei “figli” (secondo il Codice civile, dal 2013 c’è un solo “figlio”, senza gli aggettivi legale, naturale, adottato). Ai bambini interessa molto avere “veri genitori”, secondo i diritti sanciti dalla Convenzione internazionale del 1989. Nella Sessione speciale ONU del maggio 2002 si parla della famiglia come nucleo di base della società: “nella famiglia e nella società occorre considerare il mutamento del ruolo maschile; i padri devono avere l’opportunità di avere un ruolo attivo nella vita dei loro figli”.

 

Non dovrebbe essere messo in discussione il fatto che nella “famiglia” normale e naturale vi sono padre, madre e figli. È vero che talora c’è una sola madre o un solo padre che possono allevare bene un figlio, con maggiori difficoltà. Ci può essere anche una coppia omosessuale e, se ben motivata, questa può educare bene dei figli adottati (l’utero in affitto, a cui talvolta si ricorre, non è secondo i diritti del bambino e la dignità della donna). È vero comunque che le società scientifiche mondiali non hanno rilevato significative differenze tra figli di coppie naturali e omosessuali.

 

Ma per la procreazione esistono da un miliardo di anni cellule “maschili e femminili”, “paterne e materne” e le madri hanno un ruolo specifico per la nascita e la crescita dei figli. Ruoli paterni e materni sono legati a differenti ormoni e strutture del cervello. Non complichiamo le cose semplici e anche qui, come nei cibi, cerchiamo di rimanere nel “biologico e naturale”. Ricordo sempre che noi Grandi non abbiamo diritti di proprietà sui figli, non possiamo “avere un figlio” solo per realizzare il nostro bisogno di genitorialità. “Essere veri genitori” vuol dire saper  superare comportamenti secondo l’Avere e l’Apparire.

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