Con la crisi tornano le tate italiane

C' era una volta la tata. Spesso viveva in famiglia, teneva pulita la casa, curava i bambini, dava un'occhiata ai nonni. Si guadagnava la fiducia e pure l'affetto. Poi i tempi sono cambiati, le tate sono scomparse e sostituite, con un ruolo totalmente diverso, dalla donna di servizio, che con le nuove terminologie fu chiamata colf pur svolgendo lo stesso lavoro

di Sandra Tafner

C' era una volta la tata. Spesso viveva in famiglia, teneva pulita la casa, curava i bambini, dava un'occhiata ai nonni. Si guadagnava la fiducia e pure l'affetto. Poi i tempi sono cambiati, le tate sono scomparse e sostituite, con un ruolo totalmente diverso, dalla donna di servizio, che con le nuove terminologie fu chiamata colf pur svolgendo lo stesso lavoro. Verso l'inizio del nuovo millennio, però, altre esigenze cominciarono a emergere e altri addetti a quelle esigenze, più assistenza agli anziani che pulizia dei pavimenti. Così arrivarono le badanti, filippine, moldave, ucraine, rumene. Tutte straniere, un plotone che se nel 2001 era di 270 mila unità, dieci anni più tardi era già di 880 mila. E pur aumentando le presenze, la domanda restava inferiore all'offerta. Qualcuno cominciò allora a chiedersi perché mai le italiane snobbassero questo mestiere, peraltro continuando a criticare le straniere che - dicevano - venivano in Italia a rubare il lavoro. Nessuno ancora da noi aveva fatto i conti con la crisi, reduci da un tenore di vita gonfiato.

 

Oggi però, quando la crisi morde, viene rispolverato il vecchio adagio «fare di necessità virtù». Non è più il momento di essere schizzinosi, rispuntano le tate, cambiano nazionalità le badanti che si iscrivono ai corsi per diventare assistenti familiari. La concorrenza, adesso, non si trova più solo nella manodopera straniera ma anche in quella nazionale e per giunta in quella maschile, Perché ai corsi, come quelli tenuti nell'autunno scorso a Rovereto, organizzati dall'associazione DxD per 18 posti, si sono presentati anche parecchi uomini, delle classi sociali più diverse. Non dev'essere una decisione facile, anzi psicologicamente è probabile che diventi una sofferenza. Eppure c'è chi, pur di guadagnare qualcosa, appende il diploma o la laurea al chiodo in attesa di tempi migliori. La maggioranza, ad ogni modo, resta ancora al femminile, con un'età media fra i 35 e i 50 anni, disoccupate, mogli di esodati o di cassintegrati. Nel 2013 a livello nazionale su 1.500 domande (badanti, colf, baby sitter) quelle di candidate italiane erano il 55 per cento.


C'è da dire che anche fra le straniere non mancano le diplomate e le laureate, ma chissà perché quelle vengono spesso considerate meno diplomate e meno laureate delle altre. E torna in mente una canzone di Luigi Tenco dei primi anni Sessanta: «Cara maestra, un giorno mi insegnavi/ che a questo mondo / noi siamo tutti uguali./ Ma quando entrava/ in classe il direttore/ tu ci facevi alzare tutti/in piedi e quando/ entrava in classe/il bidello ci permettevi/ di restar seduti». Non è un trattato sull'uguaglianza, ma anche una canzone può far pensare.


E intanto basta dare un'occhiata anche ad altri settori per rendersi conto della fame di posti. Nella nostra provincia, che sta sicuramente meglio di altre, appena viene bandito un concorso la fila si allunga. A Storo, per l'assunzione di un impiegato supplente, 70 le richieste di partecipazione. A Condino, per l'assunzione di due infermieri a tempo pieno e uno part time, 331 le domande. A Rovereto, per un posto di cuoco d'asilo nido, 126 gli iscritti. Ovviamente provenienti da tutta Italia stranieri compresi. E non dimentichiamo che a Padova, per un posto di infermiere, si sono fatti avanti 3.500 candidati. Solo pochi anni fa la notizia sarebbe stata considerata un pesce d'aprile.
Ma essere positivi aiuta.

 

Tornerà il sereno. Tornerà almeno per i giovani che oggi si trovano nel pieno della tempesta, preda di una disoccupazione che ha superato i livelli di guardia. Bisogna che possano riprendere a sognare, bisogna che i loro sogni si avverino. E meglio se agli adulti viene in mente di non essere stati buoni maestri. Sarebbe già un bell'inizio.
sandra.tafner@gmail.com

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