I conti che non tornano mai, i mille giorni che non abbiamo
Siamo a zero. Anzi, siamo a meno 0,4%. E speriamo di fermarci qui. Perché, di mese in mese, le stime sul Pil 2014 peggiorano e certificano almeno una verità: che cinque governi non ne hanno azzeccata una. Né per quanto riguarda la diagnosi né, tantomeno, per quanto riguarda le cure.
Siamo a zero. Anzi, siamo a meno 0,4%. E speriamo di fermarci qui. Perché, di mese in mese, le stime sul Pil 2014 peggiorano e certificano almeno una verità: che cinque governi non ne hanno azzeccata una. Né per quanto riguarda la diagnosi né, tantomeno, per quanto riguarda le cure.
Iniziò Romano Prodi nel 2007, prevedendo una crescita economica dell'1,4% nel 2008, trasformatasi nel -1%.
Proseguì Silvio Berlusconi, rifiutandosi di ammettere la crisi dei mutui subprime, che stava già facendo esplodere il sistema economico-finanziario. Previsione nel Documento di programmazione economico finanziaria del 2008: +0.9%. Risultato reale: -5,5%.
Nel 2011, quando pareva che le cose stessero migliorando, a fronte di una stima del +1,3% messa nero su bianco da Giulio Tremonti, ci si fermò allo 0,4%.
Poi venne il tempo del professor Mario Monti, chiamato a salvare la Patria con una cura da cavallo, che il cavallo lo ha quasi ammazzato: per il Pil 2012 il professore stimò un +0,5%, diventato -2,4%. Per il 2013 lo stesso governo auspicò un +1,3%, l'Istat certificò poi il -1,9%.
E arrivò il governo Letta, figlio del tempo delle larghe (e brevi) intese: +1% per il 2014, scrisse Fabrizio Saccomanni nel Def. Più 0,8% corresse poi Pier Carlo Padoan, dopo il ribaltone in casa Pd che portò al potere - senza passare per il voto - Matteo Renzi.
Una stima ottimistica, che già quando fu formulata si scontrava con le previsioni diverse e più realistiche di tutti gli organismi internazionali: Ocse, Fmi, Commissione Europea, Istat.
Così, nel corso di soli cinque mesi, la stima di crescita 2014 è stata rivista al ribasso - e che ribasso - già due volte: in agosto dallo 0,8% si è passati allo 0,3%. E ieri l'Ocse ci ha detto che staremo sotto lo 0% e che se tutto andrà bene nel 2015 saliremo dello 0,1%. Dovremmo chiederci se in tutti questi anni siamo stati presi in giro, ed eventualmente ribellarci. Ma non c'è tempo per le recriminazioni. Perché il debito pubblico continua a crescere (ora è quasi al 136% del Pil e un'allarmante previsione parla del superamento del 140% nel 2015), il lavoro e la produzione industriale calano, i consumi pure.
E mentre tutto ciò succede, il Parlamento si incarta sull'elezione di due membri della Corte costituzionale, figli di quel "Patto del Nazareno" che ha già partorito vari mostri.
E Renzi, il novello imbonitore, cosa fa? Dopo aver usato l'arma di distrazione di massa degli 80 euro (giudicati insignificanti e ininfluenti dall'Ocse), minaccia il voto anticipato se il Parlamento non approverà le "sue" riforme. Parla di decreto per modificare il mercato del lavoro che non c'è, quando è stato il primo a far scivolare nelle retrovie questa riforma. Difende gli indagati, purché di sua scelta e suoi fedelissimi. Vaneggia di mille giorni necessari a cambiare la situazione.
Ma il tempo è finito. E l'ex rottamatore solo tre cose deve fare, prima di rimettersi al giudizio degli elettori. Primo: approfittare della presidenza di turno della Ue per convincere l'Europa a svincolarsi dalla morsa assurda di un patto di stabilità che sta strangolando tutte le economie, non solo la nostra. Altrimenti, questo Pil e questo debito pubblico ci condanneranno a distruggere e a svendere quel che resta dei servizi essenziali (sanità, istruzione, assistenza, trasporti).
Secondo: ora, subito, lo Stato deve sferrare un attacco vero e deciso alla corruzione e all'evasione fiscale, che da sole "valgono" 240 miliardi l'anno. Basta tergiversare, basta difendere indagati indifendibili (anche quelli nominati da Renzi all'Eni), basta colpire i piccoli per lasciare tutto com'è. Raffaele Cantone non può essere solo un'icona e il falso in bilancio va reso nuovamente reato.
Terzo: la "violenta lotta alla burocrazia", vantata come prioritaria in aprile per dare ali a un'economia soffocata, deve dare presto dei risultati. Il disegno di legge sulla riforma della pubblica amministrazione è stato approvato dal Parlamento il 7 agosto, in settembre è previsto che arrivi in aula la seconda parte, che incide sul processo amministrativo. Siamo al 17 settembre e le Camere sono impantanate da due settimane sulla Corte costituzionale. Mentre con fatica l'esecutivo sta smaltendo il gigantesco arretrato dei decreti attuativi lasciato da due governi.
Ce la faremo? Dicono che la speranza sia l'ultima a morire. Ma la fiducia è sotto terra da un pezzo.