Si rottama tutto, anche la scrittura a penna
Se c’è una cosa, oggi, che sembra procurare grande entusiasmo è la rottamazione. Si può distruggere tutto quello che c’era prima, si può buttare tutto quello che dà fastidio. Uomini, animali, cose. Poi si riprende con quel che piace, tutto nuovo, possibilmente tutto facile, perché anche della fatica si tende a disfarsi. Sulle persone inutile dire, le due squadre si contrappongono talvolta senza possibilità di compromesso, abbasso gli anziani e largo ai giovani, chi se ne importa dell’esperienza, chi se ne importa dei nuovi saperi. Sulle cose qualcosa da aggiungere magari ci sarebbe. Sulla scrittura, ad esempio.
In Finlandia verrà messa al bando la penna a partire dal 2016. In classe solo computer, dalla scuola usciranno solo bambini digitali, nessuno dovrà più scrivere su un foglio le lettere dell’alfabeto e quindi, ovviamente, nessuno dovrà più esprimere il proprio pensiero se non pestando sulla tastiera che aiuta perfino a evitare gli errori perché li sottolinea in rosso. Il corsivo potrà essere ritenuto qualcosa che attiene alle corse, della calligrafia inutile chiedere il significato, vai con lo stampatello, rottamate stilografica e matita e ovviamente la biro. In nome dell’emancipazione per imparare il nuovo si dimentichi il vecchio, quasi che nelle teste moderne lo spazio si stia facendo limitato e che per il principio della incompenetrabilità dei corpi l’uno debba farsi spazio scacciando l’altro.
Il rischio - sostenendo il contrario - è quello di passare dalla parte dei conservatori e degli obsoleti. Ma di questo rischio per fortuna a molti non importa niente. Del resto ci sono vari modi per fronteggiarlo. A Pergine si è pensato al museo della scuola. Perché bisogna pur conoscere per accettare o rifiutare, bisogna pur che qualcuno spieghi i vantaggi e gli svantaggi. Questa è l’ottima idea della presidente Maurizia Manto, che ha ricavato uno spazio al teatro comunale della città dove saranno esposte le fotografie con gli alunni e gli insegnanti di una volta, dove non solo si vedranno ma si potranno usare i pennini intingendoli nell’inchiostro, dove si faranno i confronti per capire, ben sapendo che non è più il tempo della penna d’oca, ma che al di là dei mezzi ci sono i contenuti.
E il saper usare le mani per scrivere in corsivo è una ricchezza, un valore aggiunto che nulla toglie al saper battere sui tasti di un tablet. Anche questa è cultura, lo sarebbe anche imparare ogni tanto una poesia a memoria senza il timore di diventare anacronistici parrucconi. Se scompare la scrittura a mano scompaiono anche le parole che ad essa si riferiscono. Inevitabile. Chi mai userà più il termine «calligrafia»? A chi mai importerà sapere che vuol dire bella scrittura, perché deriva dal greco? Certo non è affatto necessario avere nelle prospettive il liceo classico dove è ancora insegnato, ma neanche è necessario cancellare quella scuola, come da qualche tempo si minaccia di fare perché considerata una insostenibile nostalgia di studi ritenuti inutili e inadatti all’attualità. Ma la cultura non dovrebbe essere un insieme di conoscenze? E per ottenerla sarà meglio aggiungere o togliere? E chi lo decide? E qual è la giustificazione che ne sta alla base? I cittadini spesso, anche con semplici iniziative, stanno più avanti di tante elucubrazioni programmatiche.
Ad Arco è nata un’associazione in ricordo di Andrea Chiarani che ha permesso a 564 bambini di un piccolo centro del Benin, in Africa, di acquistare il loro atto di nascita grazie al quale potranno iscriversi (dopo le elementari garantite dal governo) alle scuole superiori. Un certificato che costa quattro euro e sessanta centesimi e che permette di essere finalmente considerati «persone». Ed essere persone significa poter avere i diritti civili, studiare, esistere. C’è da scommettere che a nessuno, in quella situazione, verrebbe in mente di recriminare sull’uso della penna.