Impariamo le lingue, ma anche l'italiano
Andare all'estero e sentirsi indifesi, un po' disorientati e sicuramente incapaci di affrontare un dialogo. È stata questa l'impressione di molti, soprattutto di quella generazione che l'Erasmus nemmeno sapeva che cosa fosse e che a scuola ha studiato una lingua straniera fatta di grammatica e vocaboli, il che non significa saperla parlare e tanto meno capire. Allora in Trentino per l'80 per cento veniva insegnato il tedesco, molto meno richiesto - e soprattutto molto meno offerto - l'inglese. Si cominciava alle medie, al liceo classico tutto finiva alla quinta ginnasio, altre scuole prolungavano sino alla fine del corso. Ma i risultati in ogni caso non rendevano uno studente bilingue. Lo erano di più gli emigrati, quelli che andavano in Svizzera o nelle miniere del Belgio, per non dire in America dove, tra uno strafalcione e l'altro, uno era costretto ad arrangiarsi.
In Trentino del resto, ma pure in altre regioni, a quei tempi si parlava male anche l'italiano, abituati come s'era ad esprimersi soprattutto in dialetto. E per questo non serve addentrarsi nelle profondità degli anni, se è vero che il 51 per cento parlava sempre e solo in dialetto fino al 1974, percentuale che attualmente supera di poco il 5 per cento. Diverso è invece il caso del doppio uso, vale a dire di chi parla l'uno e l'altro indifferentemente. Qui i numeri segnalano addirittura il 44 per cento di bilingui, con l'italiano più usato nei rapporti professionali e sociali e il dialetto riservato ai rapporti amicali e familiari, dove diventa un veicolo intimo di comunicazione.
Bilingui, appunto, come spiega il giornalista e commediografo Elio Fox che ha recentemente dato alle stampe un prezioso vocabolario della parlata dialettale contemporanea della città di Trento.
Sarà minoritaria ma è pur sempre una lingua, dice, e come tale ha regole precise, grammatica e sintassi da rispettare. Ma oggi, purtroppo, anche nell'italiano grammatica e sintassi stanno diventando un optional tra abbreviazioni, mancanza di punteggiatura, assenza di congiuntivi e misto di parole prese a prestito altrove oppure inventate, una specie di gergo per pochi che poi dilaga, fino a guadagnarsi addirittura un posto nei dizionari. Così, di fronte a un termine ignoto, si spera di trovare la spiegazione in qualche edizione dell'ultima ora. Particolarmente aggiornato lo Zingarelli che è riuscito ad agguantare e a inserire sotto la lettera esse il «vape» che viene dritto dall'Oxford dictionary, legato alla nuova moda delle sigarette elettroniche delle quali non si ispira il fumo ma si inala il vapore. Ecco allora pronto l'adattamento nazionale che fa «svapare», destinato ad arricchire il nostro idioma sempre più votato all'esterofilia, forse per rifarsi della conclamata ignoranza nella conoscenza delle lingue straniere, ciò che in altri Paesi europei da moltissimi anni è invece considerato cosa normale.
Ma pare che finalmente l'aria stia cambiando anche da noi, almeno stando ai nuovi programmi scolastici. Si comincia subito, fin dall'asilo, con la speranza che insegnino veramente a parlare, anziché a recitare a memoria le regole. Questa è la promessa ministeriale per l'anno nuovo, affinché i giovani sappiano muoversi con disinvoltura a cominciare da quell'Unione europea che dovrebbe essere la casa comune e che spesso rischia di rimanere una formula. Pure il Trentino avrà il suo protocollo d'intesa per insegnare non soltanto le lingue ma anche - meglio tardi che mai - la storia dell'autonomia speciale. Tanto per comprendere, senza i condizionamenti dell'ideologia ma con storica obiettività, quali vicende ci hanno portati fin qui. Perchè non basta un «selfie» per sapere chi siamo.
sandra.tafner@gmail.com