Ci tolgono la poesia delle stufe nei rifugi
Ci tolgono la poesia delle stufe nei rifugi
Andar per rifugi. È l'estate della riscossa, ogni metro in più una sferzata di fresco in più, anche la fatica va bene pur di sfuggire a un'afa insopportabile resa anche peggiore da una dose anomala di umidità. Poi arriverà l'inverno - le stagioni si sa passano in fretta - e sarà altrettanto piacevole starsene seduti nella stube davanti al fuoco acceso del caminetto o riscaldarsi la schiena appoggiati alla confortevole stufa a olle. È come tornare bambini, un'atmosfera rassicurante, una gioia senza perché, una poesia che riconcilia. Ma si dovrà approfittarne subito, prima che spariscano i caminetti e si smantellino le stufe. Poi interverrà la legge e la legge non sempre va d'accordo con la poesia. Quindi largo alla normativa antincendi, paragrafo 8.2, che di quegli strumenti antiquati tanto cari in chi frequentava una volta la montagna vuole sbarazzarsi in nome della sicurezza. La legna inquina? E allora la eliminiamo, ha già inquinato abbastanza.
Protestano i rifugisti ribellandosi all'idea che un decreto possa aver la meglio sulla tradizione che nei tempi ha procurato più serenità che guai. Adesso però, alla luce delle nuove conoscenze, si stabilisce che le fonti di calore dovranno essere centralizzate con l'impianto rigorosamente collocato in un locale che risponda alle norme. Anche nei rifugi, insomma, sembrerà di stare a casa propria, nel condominio dall'aria così familiare, un tantino asettica ma sicura. Sani e sicuri. Se l'avessero saputo i nostri nonni, altro che polenta ogni santo giorno cotta nel paiolo per un'ora almeno. E dentro legna a ravvivare il fuoco. Tutto sembrava più saporito ma solo perché non c'era il confronto con i cibi preparati sul fornello elettrico o a gas. Anche il calore della cucina sembrava più caldo, ma solo perché c'era il confronto con le stanze gelate, una pena infilarsi nel letto. Unica consolazione la scaldina che intiepidiva le lenzuola e scottava i piedi.
Pure nell'uso degli alimenti oggi non mancano le novità introdotte dalle normative, perché il solo buonsenso pare non sia in grado di dare soluzioni adeguate ed ecco allora subentrare l'imposizione. Qualcuno ad esempio si domanda perché mai la normativa europea imponga una misura standard delle vongole, vietando di raccogliere e commercializzare quelle inferiori ai 25 millimetri. Peccato che la media italiana sia solo di 22, quelle butta l'Adriatico e quelle finora hanno reso più saporiti i gran piatti di pasta. Vuol dire che cambieremo menù, con buona pace delle misure. E saranno contente anche le lobby delle multinazionali, azzarda qualcuno, sospettoso di mestiere. Qualcun altro insiste a chiedersi perché mai la Commissione europea abbia cancellato il divieto di utilizzo del latte in polvere nella fabbricazione dei prodotti lattiero caseari. Formaggio a latte zero. Cioè senza latte ma col gusto del latte. E perché lamentarsi rimpiangendo il sapore di un buon formaggio di malga? D'altra parte le leggi camminano, inutili i rimpianti. Quella del secolo scorso, era il 1974, vietava ai caseifici di usare latte in polvere. Ma adesso siamo nel terzo millennio. Adesso si cambia. Latte in polvere si può.
Non capisco ma mi adeguo, subisce la maggioranza. Se cancellano una legge ci sarà pure un motivo valido, pensa, e questo ovviamente per il bene del cittadino. È ben vero che c'è sempre chi tira fuori storie di interessi economici, ma è solo perché non comprende le spiegazioni. Eccole: la legge italiana a tutela della qualità è una restrizione alla libera circolazione delle merci, visto che negli altri Paesi il latte in polvere può liberamente circolare ed essere quindi utilizzato. Come dire: dobbiamo o no essere tutti uguali? Anche al ribasso.
Prepariamoci allora a gustare un panino al formaggio senza latte guardando la neve dalla finestra di un rifugio senza legna. Troppe domande non sono gradite.