Il premier spaccone attacca i magistrati
Il premier spaccone attacca i magistrati
Cambiare tutto per non cambiare nulla. La frase, estrapolata dal «Gattopardo» di Tomasi di Lampedusa, riassume uno di quei concetti validi oggi come ieri. Pare insomma che le situazioni si capovolgano e alla fine toh, ce le ritroviamo davanti intatte, magari in altra veste, sotto mutate spoglie per quanto riguarda la forma, mentre la sostanza resta più o meno la stessa. Non può non saltare agli occhi quella frase ascoltando il premier che inveisce contro il giustizialismo, che ovviamente non è la giustizia ma che si avvale di un suffisso dai connotati negativi.
In fondo come bontà e buonismo, il secondo come degenerazione del primo. Ma gli attacchi alla magistratura che agirebbe per motivi non propri del ruolo, magari a causa di una precisa e abilmente nascosta connotazione politica, noi eravamo abituati ad ascoltarli qualche anno fa, quando il premier aveva un altro nome e un altro atteggiamento, più aggressivo. Adesso l'atteggiamento è diverso, non aggressivo ma un po' irridente, potremmo dire spaccone. È possibile che si tratti di impressioni superficiali, ma tanti cittadini ne traggono un certo fastidio, forse perché ricordi troppo recenti bruciano ancora sulla pelle di chi aveva sperato di essersene tolto definitivamente l'odore.
Serpeggia l'insofferenza tra chi aveva tanto sperato di lasciarsi alle spalle certi periodi scuri, si affaccia il timore dei corsi e ricorsi storici dei quali Giambattista Vico parlava nella notte dei tempi. Le cose accadono, cioè, sembra siano passate ma prima o dopo si ripresentano. Ci si aspetterebbe almeno una lunga pausa fra il prima e il dopo. Il premier afferma in Senato: «Io sono per la giustizia ma non giustizialista». Giusto, così ha da essere. Ma se si pronuncia una frase del genere è da supporre che la si voglia indirizzare a qualcuno. A chi e perché e a chiare lettere che vuol dire? La voce del presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Davigo, si è subito fatta sentire, ma le reazioni provocate e lo stupore e in parte l'indignazione o quantomeno la presa di distanza sono tali da far perdere il filo del discorso. Del resto oggi che si discute a suon di tweet diventa più difficile e insolito approfondire le opinioni, si butta lì qualche riga che in un attimo viene ricoperta dai «mi piace» o «non mi piace».
Botta e risposta col rischio che tutto rimanga in superficie lasciando soltanto l'appagamento della partecipazione. Lo fanno ormai gli sportivi, gli attori, i politici, i personaggi pubblici e quelli semplicemente in vista. Lo fa persino Papa Francesco, con la differenza che lui si butta anche in mezzo alla folla con cuore e intelligenza, partecipa realmente e seriamente ai problemi della gente, ne raccoglie gli sguardi, ne condivide i problemi, li pone all'attenzione di chi dovrebbe risolverli con insistenza e con autorevolezza. E soprattutto fa ragionamenti chiari, semplici, coerenti e non ipocriti che tutti possono capire.
Le reazioni ai risultati del recente referendum, tanto per stare all'attualità, non hanno rasserenato il clima. È infatti in questo contesto che si è tornati a parlare di giustizialismo, è nell'euforia di una vittoria sopravaluta che qualcuno si permette di prendere in giro chi perde. Fra compagni di scuola può andar bene, ma fra rappresentanti del popolo e popolo bene non va. Un eccesso di giovanilismo (e vai con questi suffissi) ha fatto buttar lì all'onorevole Ernesto Carbone, deputato e membro della segreteria del partito di governo, quel «ciaone» che non fa ridere, non fa pensare e per fortuna non viene neppure raccolto da una buona parte di quegli elettori che sono andati a esercitare il loro diritto di voto - come sarebbe d'uso in democrazia - ma che non hanno dimestichezza con i tormentoni di Facebook.
«Ciaone» è gergo per giovani e ad ogni modo non sempre vuol dire un grosso ciao buttato lì con affetto. In certi contesti può essere la descrizione verbale di un gesto neanche troppo elegante. Ma che importa, parecchi milioni di italiani che hanno perso sentono di aver agito in coscienza. State sereni. Se poi l'aria cominciasse a farsi meno inquinata e il sereno rompesse là da ponente, chissà che la si potesse smettere di pensare ai complotti in agguato dietro l'angolo che non fanno bene né a chi eventualmente li ordisce né a chi eventualmente li subisce. Meglio resettare tutto ciò che non funziona e andare avanti. Resettare è un termine d'uso comune, vuol dire azzerare e riavviare. Stai sereno.
sandra.tafner@gmail.com