Una falena fatale la notte di Parigi

di Paolo Ghezzi

Il ragazzo si è seduto sul prato: non gioca più. Si è tolto con stizza la fascia di capitano dal braccio destro e, come fanno i bambini molto tristi o molto arrabbiati, l'ha buttata via, come un giocattolo rotto. Rotto era il ragazzo, che piangeva sudore e lacrime e si teneva il ginocchio perché un giocatore-guastatore dell'altra squadra l'aveva azzoppato alla prima azione utile, dopo pochi minuti.

E adesso era finita: a correre e tirare non ce la faceva più. Cose che succedono quasi ad ogni partita: solo che quando capita a te, e magari è la finalissima che aspetti da una vita, ti viene da maledire il mondo intero, rotondo come un pallone. Accade solo nelle fiabe, invece, che una farfallina notturna volante su quel prato verde di Parigi accecato da un milione di potenti riflettori si posi sul sopracciglio del ragazzo rotto che piange e lui sembra non accorgersene, perché non la manda via come un fastidioso clandestino, con un gesto della mano. E lei sta lì, forse ad assaggiare il sapore delle lacrime.

In quel preciso istante, 25' del primo tempo di Francia-Portogallo, sulla faccia permalosa di un calciatore bravissimo ricchissimo e tristissimo, Cristiano Ronaldo, i poeti e i bambini hanno capito che accadeva un piccolo miracolo: la farfalla (uscita da chissà quale cripta misteriosa delle falene, con altre migliaia di sorelle, per vivere la prima e l'ultima notte eroica della sua brevissima vita) non era un sogno, era un segno. Leggera, effimera, malinconica, la falena profetizzava che la grandeur francese (sicura di vincere il titolo dopo aver spezzato le reni alla Germania) si sarebbe inceppata su due ali di falena.

Avrebbero vinto i meno forti, i meno appariscenti, i più malinconici, i più poetici. Quelli che sanno che è più facile perdere, che vincere. Quelli che il fado l'hanno nelle vene e lo cantano, con la nostalgia dei viaggi oceanici dei loro grandi navigatori, perché il fato è più forte dei numeri e del business e la dea Eupalla se ne infischia di chi ha organizzato il campionato europeo per dimostrarsi più forte del terrorismo e ha già prenotato, per il lunedì dopo, il defilé trionfale sui Campi Elisi.

Così la falena dello stadio di Saint-Denis ha espresso, messaggera di una divinità benevola, una preferenza per i presunti perdenti, per un ragazzo azzoppato, per la nazione più piccola, per lo straniero triste anziché per l'euforico padrone di casa. Un folletto nero di nome Eder, pescato dalle riserve, con un lungo e affilatissimo tiro da favola avrebbe realizzato la profezia della falena pochi minuti prima della fine: della partita e della falena. Il più grande poeta portoghese, Fernando Pessoa, che di falene malinconiche se ne intendeva, aveva peraltro previsto tutto: «Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo».

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