Mario ha sognato i Giochi di Rio
Mario ha sognato i Giochi di Rio
Mario, ragazzino di Rio (Saliceto, Emilia) sognò le Olimpiadi di Rio (de Janeiro). Sognò che la mille miglia nautica era stata vinta dall'internazionale dei profughi e senza neppure un annegato. Sognò che i fotografi non costringevano più i vincitori a mordere le medaglie per le foto ricordo, ottenendo una galleria di sorrisi omologati con perfette dentature che ostentano un incomprensibile piacere nell'assaggiare oro argento e bronzo.
Sognò di scoprire il segreto del perché i piattelli del tiro a volo, una volta colpiti, esplodono in una nuvoletta rosa.
Sognò che il controllo antidoping era diventato obsoleto perché le pipì di tutti gli atleti del mondo tintinnavano la loro innocenza nell'autodichiarazione universale della trasparenza urinaria.
Sognò che la squadra turca di sollevamento pesi si sollevava contro il peso della censura che imbavaglia la stampa di Istanbul.
Sognò che i fondamentalisti religiosi risolvevano il problema dell'unica vera fede con un regolare incontro di boxe e lo spargimento di sangue limitato alle arcate sopraccigliari.
Sognò che spariva il marcio dalla marcia e che i giudici di gara non favorivano i raccomandati.
Sognò, vedendo sul pennone un tricolore, Boschi e Madia che battevano Cagnotto e Dallapè dal trampolino delle riforme. Con un tuffo carpiato avvitato sul senato.
Sognò che la squadra dell'Afghanistan vinceva il torneo di palla prigioniera e che i russi rinunciavano alla palla avvelenata e che Donald Trump lasciava il progetto del muro alle difese dei pallavolisti.
Sognò la nazionale della Siria che vinceva la maratona della libertà.
Sognò, per se stesso, di vincere il lancio della felicità e il salto della malinconia.
Sognò che la squadra dei libri liberi vinceva la regata di vela perché le parole sono più veloci del vento.
Sognò che la prima medaglia d'oro brasiliana era Rafaela che veniva dalla favela ed era la più brava cintura nera. Che atterrava gli avversari con l'intelligenza del judo; antidoto alla violenza delle pistole.
Mario di Rio (Saliceto) si svegliò, scese in cucina, chiese a papà di poter dare un'occhiata alle pagine del giornale. E così scoprì che quello di Rafaela judoka della favela non era un sogno. Ma oro vero. Mario pensò a lei, nella Rio lontana. Alle avversarie messe giù. E ritagliò la foto di Rafaela, favola della favela.