La colpa è dell'uomo, non di neve e terremoti
La colpa è dell'uomo, non di neve e terremoti
Non è stato il diavolo. Non è stata la montagna maledetta, non è stata la neve maledetta, non è stato il terremoto maledetto. Il diavolo con queste cose non c’entra . La montagna, la neve, il terremoto fanno quello che devono fare secondo le leggi della natura. Se responsabilità esistono, dunque, vanno ricercate altrove, negli uomini che non sempre fanno quello che devono fare, o violentano l’ambiente, o non prevedono in tempo, o non si dotano dei mezzi di sicurezza, o sottovalutano i pericoli, o non pretendono che i politici facciano finalmente politica, quella vera per il bene della collettività e non quella begarola e opportunista e autoreferenziale.
La tragedia dell’albergo di Farindola ha colpito perché i mezzi d’informazione hanno portato le immagini dentro le case di tutti. Ma esistono al mondo tante altre tragedie, quotidiane, di gruppi e di singoli, che spesso passano via senza lasciare solchi di commozione, quasi un po’ alla volta ci fossimo abituati alle brutte cose, alle cattive notizie, alle sofferenze senza riflettori. Era il 4 novembre scorso quando il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli dichiarava a Radio Maria che il terremoto era colpa delle unioni civili. Che si trattava, cioè, di un castigo divino.
Affermazione che non merita commenti, perché vergognosa sia per chi non crede che per i credenti. Belzebù è dunque fuori discussione e lo è la punizione caduta dal cielo, anche se agli abitanti di quella terra martoriata sembra d’essere piombati all’inferno. Agli altri, a noi che siamo immeritatamente più fortunati, diventa persino difficile immedesimarci in quel dolore, non solo dolore psicologico, paura, strazio per i morti, ma anche dolore materiale per il freddo, mancanza di cibo, assenza di un tetto. In questi giorni l’attenzione è puntata sull’albergo scomparso sotto una frana gigantesca, terra sassi alberi e metri di neve, certe immagini sono un pugno in faccia, troppo forti per sembrare vere.
E poi la gioia per i sopravvissuti, un’altalena di emozioni che fa dimenticare per un momento che altri morti, altre famiglie straziate, altri isolamenti, altre sensazioni d’essere abbandonati da Dio e dagli uomini continuano a convivere con l’evento di Farindola. Eppure dal 24 agosto si sono registrate in quelle zone dell’Italia centrale oltre 45.000 scosse, la terra ha tremato per 45.000 volte e hanno tremato i bambini, gli anziani, le persone che si sono viste crollare addosso la vita. Non è possibile, non ce la facciamo più a sopportare - dice Antonio, un trentino stabilito all’Aquila da tempo. Con la moglie Cristina ha preparato due zaini, sono lì pronti per quando si dovesse scappare come sette anni fa. Una notte ci rintaniamo in macchina, un’altra torniamo a casa, non si dorme più, sembra di vivere sospesi, il nostro lavoro andato in fumo. E tutti i paesi intorno, le frazioni non ancora raggiunte dai soccorsi, le attività perdute, gli animali che muoiono di gelo e di fame. Manca l’elettricità, non è solo una notizia, vuol dire che manca la luce, che si vive al buio, che non c’è riscaldamento, che fa un freddo cane.
E metri di neve che poi, con l’alzarsi della temperatura, diventerà acqua e provocherà altri disastri. Si poteva evitare? In parte, è probabile. Eccezionali i soccorritori, a scavare, a lavorare sino allo sfinimento. E chi aveva il dovere di intervenire in tempo? E le competenze assegnate dai ruoli ufficiali? Polemiche, ma in questi momenti la generosità di tanti uomini conta molto più delle polemiche, per quelle ci sarà tempo più tardi. Semmai, la speranza è che l’ennesimo dramma possa finalmente servire da lezione. Lezione di serietà, di capacità, di volontà. Lezione che hanno dato gli uomini con la pala ma anche con il cuore in mano.
Queste righe sono dedicate ai prepotenti che credono sia un diritto vivere di privilegi. Agli arroganti convinti di essere più furbi degli altri. Agli indifferenti che si ritengono al di sopra di tutto e di tutti. Agli incapaci. Agli ignoranti. A chi si commuove per un attimo ma poi gli passa. Tanto succede sempre agli altri.