I ragazzi «bene» che si nutrono di violenza
I ragazzi «bene» che si nutrono di violenza
Quei ragazzi di un liceo bene di Milano che durante una festa di compleanno hanno preso di mira un ospite ventenne, l’hanno accerchiato e colpito con pugni, calci e sputi senza alcun motivo, non hanno nemmeno la giustificazione di essere figli della strada, abbandonati da Dio e dagli uomini, ridotti alla miseria, senza lavoro, famiglie disastrate alle spalle.
Quei ragazzi sono figli di una buona borghesia, probabilmente annoiati e in cerca di emozioni forti. Nessun motivo per essere arrabbiati col mondo. In quindici ne hanno pestato uno a caso, che vedevano per la prima volta, e poi se ne sono andati. Non c’entra dunque il disagio sociale e nemmeno la mancanza di una cultura scolastica.
La spiegazione dello psicoterapeuta non fa che confermare quello che ormai si è indotti a pensare ogni volta che succedono queste cose: è un disagio generazionale e nemmeno si può dire che gli unici responsabili siano gli insegnanti e i genitori, anche altri soggetti infatti dovrebbero avere compiti educativi. Pensiamo a quanti esempi arrivano dalla società e dai social network e da chi riveste ruoli autorevoli. Ruoli, ma non sempre autorevolezza. Tutt’intorno i giovani respirano contrasti, rabbia, indifferenza per il prossimo, desiderio di sopraffazione.
L’episodio si è verificato lo stesso giorno in cui a Trento un gruppo di ragazzini - non un singolo perché, si sa, è la banda che dà forza - ha preso a calci, pugni e sputi - attacco in fotocopia - l’edicolante di piazza Fiera che stava chiudendo per la pausa pranzo e quindi si era rifiutato di consegnare, peraltro gratis - come da richiesta - una bibita in lattina. Di lì la punizione e anche la minaccia di tornare al pomeriggio per lavare l’onta di un diritto negato.
Vale lo stesso commento del caso precedente? Sì, può valere, le circostanze sono simili e probabilmente anche l’estrazione del gruppo. Ma resta sempre da trovare la risposta alla domanda iniziale: perché succedono queste cose? C’è sicuramente un errore all’origine, ci devono essere tanti errori che hanno preparato il terreno di coltura.
Ammesso il disagio generazionale, resta sempre la domanda: perché? I giovani hanno sempre avuto problemi, crisi, qualche sciocchezza l’hanno sempre fatta, ma avevano anche gli anticorpi per venirne fuori. Qualcuno dunque non sta facendo il proprio dovere, non ha fornito i mezzi per attivare quegli anticorpi prima che le bravate cominciassero a degenerare diventando atti ben più pesanti e pericolosi per sé e per gli altri.
Ed è molto qualunquista dire siamo tutti colpevoli, come è molto qualunquista dire che tutti i giovani d’oggi sono uguali. Non è vero, ce ne sono di bravissimi e per fortuna neanche pochi. Allora si potrebbe cominciare con un discorso da vecchi: ormai c’è in giro troppa superficialità, non esistono regole, si scambia la libertà personale per il poter fare qualunque cosa anche a danno degli altri. Da qui al credere che tutto sia lecito il passo è breve.
La politica, ad esempio, è maestra nell’insegnare che tutto ciò che sa di passato è da buttare. Lo va ripetendo ogni giorno, inutile giudicare quel che succede ora con i parametri d’una volta, il metro adesso è tutto diverso, bisogna guardare con un’ottica nuova, per forza non si comprendono bene gli eventi attuali. Chi è rimasto indietro è destinato a perdere la coda del gruppo vincente. Così anche nel quotidiano, nel lavoro, nelle amicizie, nel tempo libero.
A scuola e in famiglia. Ci vuole un’alternativa, ovviamente. C’è già l’alternativa? Chi la propone? Funziona? E’ migliore dei princìpi fondamentali che valevano prima? Dai risultati sembra di poter nutrire qualche serio dubbio.
Il 9 febbraio di cinquant’anni fa moriva Ernesto Rossi, esponente del Partito d’Azione, che mandato al confino a Ventotene contribuì con altri a scrivere il famoso «Manifesto», nel quale tra l’altro si auspicava il rinnovamento sociale e l’eliminazione delle diseguaglianze. Indispensabile per questo, come recita l’art. 54 della Costituzione, «che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche le adempiano con disciplina ed onore».
Ed è addirittura sottinteso che le debbano adempiere con onestà e rigore, l’opposto cioè della superficialità, della mancanza di regole, della libertà personale anche a scapito degli altri. Il 9 febbraio i politici lo ricorderanno. E alla gente diranno che sono virtù da non dimenticare. Appunto.