Volti. E dietro quei volti, storie
Volti. E dietro quei volti, storie
Volti, ne sto incontrando molti qui a Port au Prince, a Kay Chal, nel centro dove presto servizio.
Centinaia di bambini e molti adolescenti fanno riferimento a questo luogo speciale.
Tra loro, E., un giovane haitiano di 17 anni. È stata una delle prime persone che ho incontrato qui a Port au Prince, esattamente il 2 novembre, appena arrivato. E. mi ha colpito subito per il suo atteggiamento, una costante ricerca di attenzione; un costante bisogno di sentirsi migliore degli altri, più forte e capace. Mi ha colpito subito, perché mi è sembrato in realtà una persona molto insicura, il «bullo» che nasconde una grande fragilità.
Ora lo conosco meglio, E. Ci parlo tutti i giorni, faccio capoeira assieme a lui: è uno dei più bravi, si muove rapido, coordinato, è uno spettacolo da vedere. Nella capoeira è riuscito a trovare un’attività dove riuscire ad esprimersi eccellentemente e sfogare la sua rabbia, con un maestro che lo segue con pazienza e attenzione, cercando di educarlo.
Ora lo conosco meglio, E.. Conosco che è una persona profondamente sola, senza dei riferimenti affettivi: la mamma non lo accetta in casa, così uno zio lo ha ospitato in uno spazio ristrettissimo, ma è stato cacciato anche da lui. Tutti i ragazzi della sua età, e non solo, fanno fatica a sopportarlo, per la sua arroganza, il suo continuo «mostrare i muscoli».
Da giorni dorme in strada, tra i cunicoli della citè (la bidonville), fatica a trovare un luogo per lavarsi e lavare i suoi pochi abiti. Dicono si stia affiancando a un tipo poco raccomandabile, che gli procura qualche soldo.
Sì, perché E. non ha soldi, ha scelto di non andare più a scuola e rifiutato di portare avanti l’attività di vendita di candele, che le suore hanno provato a proporgli, per promuovere la sua autonomia e valorizzare le sue capacità.
E. è un ragazzo intelligente, gli piace provare a parlare un po’ di italiano e spagnolo, è molto bravo nel fare braccialetti con filo e materiali varii e ama parlare, starebbe ore a dialogare, tra battute, provocazioni e domande infinite. E., quando ci parlo, alle volte ha la pazienza di ascoltare e ci si riesce ad addentrare in dialoghi importanti.
Le suore cercano di fare il possibile per stargli vicino. Suor Luisa lo accoglie sempre e con fare materno cerca di accompagnarlo nelle sue «sfide» quotidiane. Così facciamo pure noi servizio civilisti: questo, perché a Kay Chal Luca possa trovare un posto dove venire ascoltato e valorizzato, un posto dove possa ricevere anche delle regole, per il suo bene, regole che non è abituato a seguire.
Credo sia importante condividere questo breve, e ahimè, non troppo dettagliato, racconto; il racconto di E.. Credo sia importante semplicemente per ricordarci che E. esiste, abita a Port au Prince, ad Haiti; così come esisto io qui, piuttosto che a Trento; così come esistono tanti trentini che hanno patito il freddo questo inverno; così come esistono tante persone richiedenti protezione internazionale che vivono un forte trauma nella fuga da casa e nel trovarsi di fronte a un «mondo» completamente nuovo.
Così come esistono tutte le persone, con le loro povertà e ricchezze, gioie e dolori, ma parte, ognuna di esse, di un UNICO mondo. Così, mi interrogo spesso sul mio essere qui, sul perché e provo a darmi delle risposte.
Perché credo portare un esempio di diversità in un contesto come quello di una bidonville economicamente poverissima, che spesso non offre l’opportunità di muoversi a di fuori di essa, possa essere una ricchezza: portare il confronto, portare qualche persona che si relazione con me, a riflettere, nel mio bene e male, confrontandosi con il mio modo di vivere e pensare alle volte molto diverso.
Perché credo che semplicemente, senza fare discorsi troppo complicati, essere qui a Port au Prince o essere a Trento, significhi essere comunque in questo mondo, che è unico, assieme a persone ed è questo ciò che conta. Continuare a metterci positività, vivendo anche grandi difficoltà, in qualsiasi luogo noi siamo, ma con un bel sorriso, per condividere il nostro semplice essere umani, tutti.