D. e quella voce troppo roca
D. e quella voce troppo roca
«Non ricordo molto bene la strada D., non è che puoi accompagnarmi alla scuola per il corso di capoeira?».
Così, io e D, un bambino di 8 anni di Citè au Cayes, la bidonville vicina Kay Chal, il centro dove presto servizio, ci addentriamo per mano nella stretta stradina. Lungo la via incontro un altro ragazzo conosciuto, che decide di unirsi a noi.
Mentre cammino penso a D.
Ha 8 anni, vive con il padre, una matrigna e loro figlio. Lei purtroppo disprezza D., perché frutto della precedente relazione del compagno e perché lui è un bambino pieno di vita, sempre pronto a fare disordine, che non riesce mai a stare fermo. Così, D. è spesso costretto da lei a dormire sul tetto, da solo, e non appena disobbedisce viene punito con violenza. Il padre fatica a imporsi per difenderlo, nonostante gli voglia bene e lo stimi.
Continuo a camminare tra i cunicoli della bidonville. Ogni tanto mi giro, chiamato da qualche ragazzo seduto lungo la stradina «Assomigli a Neymar», piuttosto che «Bianco», appellativo a cui mi sono ormai abituato, pur non rinunciando a presentarmi e fornire il mio vero nome, spiegando come non mi piaccia essere chiamato così.
E penso a D.
Che è a fianco a me, che sorride sempre ma ultimamente sta compiendo spesso gesti poco rispettosi, dispetti , come rovinare i quaderni degli altri bambini che frequentano Kay Chal. Di solito si controllava, così mi chiedo che cosa stia passando a casa sua, quali ulteriori problemi stia vivendo, per sfogarsi e comportarsi così male con gli altri ragazzi.
Intanto sono quasi arrivato alla scuola per il corso. Sorpasso le 2 signore che, sedute sul gradino di casa loro, nella stradina di un metro di larghezza, vendono pacchetti di patatine, banane, dolcetti; poi avanzo dritto salutando il signore che trovo sempre seduto sul ciglio della via a cucire e riparare magliette. Mi chiede come sto, ricambio la domanda, poi mi chiede se vado a capoeira. Ci stringiamo la mano e procedo.
Qui in citè le case sono tutte ammassate e la privacy diventa un lontano ricordo: ogni volta che si passa davanti una casa, è quasi come entrarci dentro. Dal ragazzo che si fa tagliare i capelli, alla mamma che lava i panni, al gruppo di giovani attorno all’unico televisore della zona per vedere la partita del Barcellona o Real Madrid, le squadre più amate. Forse, mi chiedo, perché ti fanno sognare, perché vincono sempre?
Al solito, vedo lo stesso signore anziano, con un curioso cappello largo, come solo ai caraibi si potrebbe trovare.
D mi saluta con il suo sorriso fantastico e che emana voglia di vivere, fare e disfare. D è un ragazzino davvero intelligente, furbo e pure bravo a scuola, contando che fino all’anno scorso non era nemmeno in grado di impugnare una matita o stare seduto su una sedia, prima che fosse inserito a Kay Chal.
Con la sua voce troppo roca per un bambino della sua età, mi saluta e corre via. Scalzo. Entro nella scuola e inizio il corso di capoeira. Scalzo.