Penso, dunque resisto: il ruolo della testa nello sport di endurance
Penso, dunque resisto: il ruolo della testa nello sport di endurance
Nel presente articolo si vuole discutere delle tanto famose «Tabelle di allenamento».
Per chi non le conoscesse, sono quello strumento utilizzato dai preparatori fisici e dagli atleti autodidatti, per fare un lavoro di allenamento fisico finalizzato al raggiungimento di un obiettivo che può essere una gara di 10 chilometri, una mezza maratona, un triathlon, un Ironman.
Questi allenamenti sono ritagliati sull’atleta e sulle sue capacità fisiche, e consentono di sviluppare il sistema fisiologico per adattarlo ad esprimere il massimo potenziale nella gara che è il proprio obiettivo.
Numerosi studiosi hanno dimostrato però che non è direttamente la capacità fisiologica del muscolo in sé, come possono essere le sue risorse energetiche interne, o del sistema cardiorespiratorio ad influire sulla qualità della prestazione di endurance, bensì la percezione dello sforzo come riporta lo studioso Marcora (2009).
In uno dei suoi studi emerge che un gruppo di atleti, dopo aver sostenuto un compito mentalmente impegnativo, ottenevano una prestazione inferiore in un esercizio fisico in cui era richiesto il massimo sforzo fino ad esaurimento rispetto ad un gruppo di controllo che non aveva fatto il compito mentalmente impegnativo in precedenza.
Questo significa che, se riusciamo a costruire una approccio allo sport sano che favorisca il nostro benessere fisico e psicologico, equilibrato e con i giusti obiettivi, ne risentirà in positivo anche la nostra prestazione.
È quindi importante associare alle tabelle di allenamento, un percorso mentale che permetta di sfruttare il potenziale che viene costruito con tanta fatica.
Quindi, invece di seguire in maniera inconsapevole tabelle e allenamenti che sfiniscono mente e corpo, proviamo a porci delle domande, a vivere questi momenti con piacere nonostante lo sforzo e l’impegno che richiedono. Impariamo ad utilizzare l’immaginazione per tenere duro fino alla fine, per vedere il lato positivo dell’allenamento e focalizzare il nostro obiettivo finale. Costruiamo un percorso che non finisca con una determinata gara, ma che la gara stessa sia solamente un tassello della nostra personale opera d’arte.
Focalizzare tutte le proprie energie mentali su un unico obiettivo può essere funzionale quando bisogna raggiungerlo in breve tempo perché stimola a dare sempre il massimo. Tuttavia nel lungo tempo può portare ad un esaurimento delle risorse psicofisiolgiche che, se non sono bilanciate da una ricompensa adeguata (cioè il raggiungimento del proprio obiettivo), possono portare addirittura ad abbandonare l’attività intrapresa. E come ben sanno gli sportivi che hanno già fatto qualche gara, in una competizione i fattori che possono ostacolare il raggiungimento del proprio obiettivo sono innumerevoli.
Il segreto quindi risiede nel costruire un percorso, valutare passo dopo passo cosa è andato bene e cosa no, ed allenarsi a superare ostacoli, infortuni e problemi ristrutturando i propri obiettivi, imparando da quello che non è andato bene e rafforzando il proprio senso di autoefficacia e consapevolezza riguardo ai propri punti di forza.
Come riportato nel libro Triahtlon il manuale di Caporali ed Esposito: «Lo sport è uno strumento educativo potentissimo, già Jean-Jaques Rosseau, nella sua opera Emilie, sosteneva il valore formativo dell’attività fisica, formazione che discende dal saper affrontare i propri limiti, dallo sfidarli continuamente e dall’accettare l’amaro verdetto della sconfitta».