Il Natale barrierato di Trento Town
Il Natale barrierato di Trento Town
Forse per simpatia con Trenton, capitale del New Jersey, neppure 90mila abitanti (un’oretta da New York) oltre che per vicinanza psicologica a Berlino e al suo mercatino violato, Trento si è già blindata per le feste con quegli orribili manufatti di cemento che da noi chiamiamo, appunto, New Jersey.
Ma che in realtà sono noti internazionalmente come Jersey barriers: senza il «new» ormai fuori luogo perché hanno l’età di Dellai, essendo state inventate nel 1959.
Trento, esterofila lo era già da tempo. Solo fermandoci ai bar, non trascurabili luoghi di socializzazione e di inculturazione, tra il Far West e la Polinesia abbiamo l’American, il Big Ben, il Boston, il Sayonara, il Tiki, il Madison, la Vie en rose, il Moby Dick, perfino il Punjab.
Ma ora siamo definitivamente Trento Town, New Jersey. Grazie a quelle barriere anti-camion-killer, bianche o grigie che siano, un pugno nell’occhio per neutralizzare gli aspiranti terroristi furgonati.
Che sacrificio estetico, che città imbruttita in nome della «sicurezza», ossessione di questi anni brutti. Sicurezza! Promessa irrealizzabile della cattiva politica, che illude la gente sulla possibilità di neutralizzare il terrorismo: che invece è sempre più ramificato, proteiforme e più imprevedibile di qualsiasi sistema di sicurezza preventiva.
I Jersey in via San Giovanni Bosco e in via Ss. Trinità, oltre a ostacolare il deflusso delle ambulanze e della folla in eventuale attacco di panico, possono forse evitare attacchi di droni, cecchini dalle mura merlate, avvelenamenti dell’aria, bombe telecomandate, piromani dotati di lanciafiamme militari, babbinatale con cintura esplosiva?
Ma siccome i Jersey resteranno lì, dimostriamo almeno un po’ di senso civico depotenziando i Jersey, alleggerendo il loro impatto visivo, utilizzandoli in modo fantasioso.
La leggendaria creatività dei trentini ha già sperimentato alcune piacevoli funzioni alternative: la parte superiore è un’ottima mensola posa-bicchieri, fantastica per le happy hour serali outdoor (l’hanno scoperto in via Calepina); i bambini amanti del calcio li possono usare come porta; i tennisti come muro di rimbalzo. Gli appassionati di parkour e di skateboard come rampa per acrobazie.
Se non fossero per definizione grigie, le autorità pubbliche avrebbero lanciato un concorso per la migliore New Jersey-decorazione o il più colorato murale di barriera, avrebbero invitato il collettivo poeti a scriverci versi memorabili, i musicisti ad emulare Rostropovic ai piedi del muro (di Berlino, guarda caso, come il mercatino).
Scuole d’equitazione, classi di ginnastica in libera uscita, corsi di danza metropolitana, squadre di addestratori di cani da catastrofe, equilibristi dilettanti, saltimbanchi di strada, musicisti di marciapiede e saltatori professionisti potrebbero organizzare attività Jersey-friendly intorno alle barriere, aumentando ulteriormente il numero dei turisti importati nel centro di Trento blindato. Con effetti benefici sul pil ma non certo sui claustrofobici e gli agorafobici che ora si trovano a dover fare zigzag tra i Jersey onnipresenti che ingabbiano le strade e inscatolano le folle.
Ci vorrebbe un blues, per la prenatalizia e protettissima Trento Town. Il titolo sembra inevitabile: «Jersey on my mind».