Indifferenza e ingratitudine: vizi capitali
Indifferenza e ingratitudine: vizi capitali
Colgo due linee, opposte, in questi giorni prima di Natale. Da una parte, si va sviluppando, seppur con le sue fatiche, il bisogno di una solidarietà umana con meno discontinuità, più stabile e più fondata, che si manifesta in mille iniziative di raccolta, di concerti, di manifestazioni variegate.
Ma dall’altra noto che oggi tra i vizi capitali, restano anche, inesorabilmente, l’indifferenza e l’ingratitudine. Due fenomeni che colpiscono molto soprattutto la sfera relazionale. E diventano eloquente domanda sulla verità del nostro cuore, davanti alla grotta del Bambino. Infatti, questo rimanda ad una realtà aggrovigliata su se stessa, che spesso mira in alto, ma poi si mescola alle cose grette, perché si aggrada forse più a consumare per sé che a condividere, a spendere più che a spendersi, a manipolare più che a progettare.
In particolare, di fronte alla tendenza consumistica che affossa il valore delle festività e dei giorni di riposo, sento viva la necessità di riflettere sulle nostre scelte operative, educandole a quello che ha ribadito anche il Papa settimana scorsa, nella catechesi del mercoledì: «La domenica al lavoro ci fa vivere da schiavi». Tradotta significa che, se compri di domenica o nei giorni di festa, ti lasci comprare, cioè corrompere da un sistema economico che non guarda in faccia i lavoratori, ma che li sfrutta per risultati di interessi egoistici e di sfruttamento artificiale.
Perciò, se noi in coscienza capissimo il dramma umano che si avalla andando a fare la spesa nei negozi di domenica (o addirittura di Natale!), arriveremmo a rifiutare queste forme di schiavitù che ricadono sulle famiglie. Mi rendo conto che è una lotta che richiede perseveranza, una sorta di parto nuovo per la nostra società, perché occorre reclamare, tutti insieme, questa codificazione di libertà dal lavoro domenicale. Che bello sarebbe se potessimo giungere a fare quello sforzo etico e culturale che ci è richiesto in più, proprio in questa settimana!
Che luminosità avrebbe il nostro Natale se fosse caratterizzato da volti e non da pacchi. Da mani aperte a donare, a sollevare, più che a monetizzare il senso di questa grandiosa festa per l’Umanità. Se arrivassimo anche a pagare l’affitto, come comunità con un’offerta generosa e concreta, a quanti stanno rischiando in queste ore proprio lo sfratto! E sentono l’emarginazione stessa che ha vissuto Gesù, che non trovò posto nella casa ma dovette nascere in una stalla!
Salendo verso la cima luminosa del Natale, come non aprirci a quei modelli sociali rivoluzionari ed anticonformisti, che lottano contro quelle situazioni che vanno sempre più imperando, ma che purtroppo si impongono come forme di rimozione della dignità umana.
Quanto è forte in me la speranza che l’Homo Somnians superi e completi finalmente l’Homo Faber. Cioè che, finalmente, dall’Uomo tutto-fare emerga alla luce anche l’uomo capace di sognare. Regaliamoci un futuro con queste trasformazioni indicative! Animati proprio dalle piccola Betlemme che ci invita ancora di più ad aprire gli occhi sui piccoli, sui fragili e su quanti sono abbandonati dal mondo in un destino di miseria e solitudine.
La scena che ci passa davanti agli occhi in questi giorni prefestivi ci intrattiene come davanti ad un film di storie che scorrono lungo il nastro del tempo. E in esse, scorgo il grido che già lanciava Teodoro di Antiochia, vescovo vissuto tra IV e V secolo: «Non facciamo come il suddito che, abitando nella reggia e potendo godere continuamente della vicinanza e della vista del re, si intrattiene nei mercati e nelle bettole, trascurando la compagnia di coloro che abitano nel palazzo. Allo stesso modo noi, che siano stati destinati al regno dei cieli, agiamo di conseguenza in modo conforme a questo senza abbandonarci all’iniquità ed alle opere malvagie, comportandoci come cittadini del cielo. Vi raccomando, insomma, di cercare i beni della vita futura e di regolare la vostra vita terrena su quella celeste, secondo le vostre forze, non al punto di non mangiare né bere né usare il necessario per vivere, ma di amare e ricercare con tutto il vostro essere il bene che voi avete scelto. Potete, quindi, soddisfare i vostri bisogni più urgenti, ma non cercate né domandate alcuna cosa più del necessario».
Mi sembra la sintesi più profonda, realistica: non affanniamoci, nella vita, a pretendere più del necessario! Il Natale ci faccia scuola, per evitare gli eccessi e le superficialità, rivestendoci invece di sobrietà. Solo così tutti avranno un tetto, una casa riscaldata e soprattutto, tanta e vera dignità.