Che strana razza di rozzi razzisti

Che strana razza di rozzi razzisti

di Paolo Ghezzi

La parola «razza» si può usare per fustigare i razzisti? Sul vocabolario di Google, ecco la definizione: «1. Gruppo d'individui di una specie contraddistinti da comuni caratteri esteriori ed ereditari: r. equine, bovine, canine; patate di r. olandese.


2. Ogni raggruppamento d’individui costituito in modo empirico sulla base di caratteri somatici esteriori comuni (r.
bianca, gialla, nera ; r. australiana, sudanese ); il concetto di “razza”, privo di fondamento sul piano dell’analisi genetica, è stato spesso utilizzato in senso politico per operare arbitrarie differenziazioni sul piano delle relazioni sociali e politiche ( lotte, conflitti di r. ; distinzioni, discriminazioni di r. ); il termine è oggi sempre più spesso sostituito con quello più appropriato di etnia».

In nome della presunta razza ariana, un regime politico ha sterminato milioni di cosiddetti «subumani». La Treccani evoca il francese antico haraz «allevamento di cavalli». Il Pianigiani etimologico del primo Novecento propende per una derivazione da un arcaico ras, principio, origine, e ne deduce: «Tutti coloro che appartengono alla stessa famiglia, provenendo dal medesimo stipite: e si usa parlando delle grandi famiglie umane e delle specie degli animali». Aggiunge però: «Detto di poche persone vale Sorte, Qualità; ma è spregiativo...».

Un campanello d’allarme linguistico, un secolo fa. Ma si può eliminare dal linguaggio comune la parola «razza» e continuare a esecrare il razzismo? Bella domanda. Da un certo punto di vista, gli antirazzisti avrebbero le armi spuntate se nessuno usasse più la parola «razza». E bisogna dunque cambiare la Costituzione italiana del 1948, che per proclamare l’eguaglianza di tutti usa la parola «razza»?

Però è così bello quell’articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Sembra ragionevole mantenere la possibilità di usare la parola ?razza? almeno in alcuni, determinati contesti: quest’estate ho fatto una foto a un gruppo di bellissime vacche di razza Rendena; avevo uno splendido cane di razza ma adesso ho una fantastica meticcia (evitare «bastardina», pur se affettuoso); no, il Rottweiler non è una razza malvagia se il padrone non è un razzista che lo aizza contro gli immigrati; il Milan avrebbe bisogno di un centravanti di razza (insomma, uno che faccia tanti gol, indipendentemente dall’etnia); ma che razza di maniere sono?; ma che razza di idee razziste spari?; in politica Churchill era davvero un cavallo di razza; «un senatore razza Razzi non si era mai visto, tra questi arazzi» (osservazione di un commesso di Palazzo Madama); cortigiani vil razza dannata (dal Rigoletto di Verdi); ma che razza di burocrazia imperversa nell’autonomia? (imprecazione politicamente scorretta); elegantissima la razza che abbiamo visto nuotare all’Acquario di Genova.
Novant’anni fa, precisamente il 15 gennaio 1928 (VI anno dell’E.F., secondo la cronologia di quel regime razzista), sulla Domenica del Corriere, 30 centesimi di lira il suo prezzo di copertina (dove le belle illustrazioni colorate di Beltrame facevano sognare gli italiani) a pagina 12 si poteva leggere un articolo che annunciava «il progresso in cammino» nel campo delle comunicazioni radio che raggiungevano popoli e luoghi esotici.

Ecco l’incipit dell’articolo, intitolato «La radio e i selvaggi»: «è curioso senza dubbio immaginare un orribile negro, il volto sfigurato da mostruosi tatuaggi e da crudeli mutilazioni, la capigliatura cementata sul capo da una pesante miscela di fango, con la cuffia del radio-telegrafista, intento a ricevere o trasmettere un messaggio. Curioso, per noi. Ma è certo che questo bel tipo assolverebbe il suo compito con il sussiego e l’esattezza di un Europeo evoluto ed erudito».
Un nero orribilmente intelligente: che razza di paradosso.

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