Se un robot conta più di una persona
La storia è all'opera. Instancabile. Senza interruzioni. Le sue mani sono aperte. Posseggono il tempo e tutti i nostri passi in essa. Nella Festa di oggi, la Santissima Trinità, queste stesse mani ci indicano che non c'è un Dio solitario. Per niente isolato. Anzi, è un Dio che si cura di eliminare ogni forma di distanza, di distacco. Perchè Lui è fatto di contatto. E per questo di amore!
Ebbene, per concretizzare una riflessione teologica che potrebbe apparire astratta, possiamo dire che proprio dentro questa trama di armonia e donazione reciproca si configura certamente un modello per la nostra Politica, per la prassi sociale e culturale. Direi, in particolare per il nuovo Governo, che si è appena affacciato sulle nostre speranze. Avviene nel significato e nella vita della Trinità qualcosa di stupendo che può essere tradotto da noi in modello relazionale. E ciò è precisamente la capacità di «divenire uno!». È il vertice di tutta la fede cristiana il dogma della Trinità, perché l'unità non è mai costituita da una sola realtà, ma da tante e diverse fra di loro. Questo è affascinante! Diventa subito dinamismo sociale, dove la stessa comunità si ritrova ad essere tale proprio perché va unificando i tanti soggetti, che lungo il tempo si raccordano e si costituiscono, fino a comporre un corpo, una città, un popolo.
La forma basilare è la comunicabilità, ossia l'aprirsi all'altro. È la specificità trinitaria appunto, dove c'è chi genera, chi redime e rinnova. Perciò, chi accompagna e mantiene sempre alleati. In fondo sono le tre vitalità dell'amore, che si possono benissimo interpretare con questi tre atti: gratuità donante, gratuità sanante, gratuità unificante.
Nella prima, ciascuno riceve la vita e la creazione. È il compito del Padre. Nella seconda, è possibile. Tramite la Croce, assumere la salvezza ed il riscatto da ogni limite. Nella terza, raccolti dallo stesso Spirito, stupirci e magnificare l'essere sempre accompagnati e guariti da ogni nostra frammentazione.
A tal proposito lancio forte un appello, condividendo con voi, cari lettori, una spina che porto nel cuore da qualche giorno. Vi confesso che l'altra notte, una volta saputa, ho faticato a chiudere occhio. Da quando, cioè, ho appreso il licenziamento di quell'operaio di Milano, improvvisamente buttato per strada come un oggetto da niente, proprio dall'azienda dove aveva lavorato con impegno oltre trent'anni. La fabbrica dove era impiegato ha avuto la brillante idea di eliminarlo dal lavoro sostituendolo con un robot. La notizia è sconvolgente, per tutti. Mille i problemi conseguenti. Ad iniziare da quelli di natura psicologica: Ma quanto realmente valgo - si dirà l'operaio - se basta una macchina a continuare a compiere il mio stesso lavoro? C'è poi l'aspetto sociale: «Come è possibile che, per una riorganizzazione interna alla fabbrica, non si tenga conto della persona che vi presta servizio da così tanto tempo?».
Installare una macchina significa letteralmente rovinare una vita, una famiglia. E per di più esprimere così un modello di gestione senza scrupoli. Cieco. Come spesso ha denunciato anche il Papa riferendosi a quell'economia, a quel mercato, a quel guadagno «senza volto». E aggiungerei, senza cuore, senza coscienza! Disumana! È la logica oscura di chi sopprime la dignità, di chi non tiene conto che l'altro è una persona! Dove non c'è comunione, non c'è fraternità. Perchè il dramma vero qui è il peccato di non-fraternità, di affronto al lavoratore, al quale mancavano ormai pochi anni per la pensione.
La sfida non è tra i robot e gli uomini. Piuttosto è fra il regime della tecnocrazia e il grido dei tanti senza lavoro. Il declino si presenta alla porta ogni qualvolta è la macchina che governa l'uomo e non l'uomo che domina la macchina. Torna necessaria l'esortazione di Paolo VI: il mondo avrà pace e giustizia quando costruirà uno sviluppo integrale e solidale. Dove a guidare non è l'io, ma il noi.