Il «sovranismo» social costruisce steccati
Il «sovranismo» social costruisce steccati
La nostra rubrica, carissimi lettori, riprende il suo cammino, dopo i mesi estivi. E lo facciamo ringraziando l’Adige che ci consente questo ritaglio di riflessione tutte le domeniche. Come ringraziamo della bella intervista che ci ha riservato per il mio compleanno. Allo stile consueto, sarà aggiunta con gioia qualche pennellata di novità, a partire dal nome.
La rubrica si chiamerà, infatti, «Annunciamolo sui tetti». L’ho scelto in accordo col direttore Giovanetti, prendendo spunto da una pagina del Vangelo che ha colori vivaci. Si tratta del brano presente nel Vangelo di Matteo, nel capitolo dieci, dove c’è il cosiddetto Discorso Apostolico, in cui Gesù chiama a sé i dodici e comanda loro queste tre cose fondamentali: «Andate, non temete, e quel che avete da dire, gridatelo nella luce e sui tetti».
In quel titolo c’è, lo sento benissimo, la più grande protagonista del nostro tempo: la missione, l’uscire, l’esporsi, le scelte coraggiose e controcorrenti. Nel non temere c’è poi il bisogno di coraggio, di perseveranza, di zelo nelle cose che facciamo e testimoniamo. E terzo è il parlare con franchezza, senza vergogne, né timidezze. Proclama sui tetti, infatti, solo chi non si annovera tra gli operatori di menzogna, di omertà. Ma ha l’audacia delle aquile, di vivere nella libertà, nella chiarezza che libera, senza tenere per sé il dono che ha ricevuto, sollevando l’animo di chi ascolta e formando le coscienze.
In tutto questo c’è così l’atteggiamento di chi vive il presente con lo sforzo della Verità, rialzando la Giustizia, rimettendo al centro la dignità, specie di chi è calpestato dai poteri forti e occulti che frenano lo sviluppo integrale. Sui tetti, sì, saliremo sui tetti, sempre con lo sguardo lontano, che intercetta risposte, che cerca speranze. Per ritrovare lungimiranti prospettive nuove, per spezzare le catene dure dell’ovvio e del populistico odierno, oltre le pretese di quel «sovranismo» social che professa la logica dei muri, degli steccati, spesso dietro decreti che pesano come macigni sui più deboli. Come il recentissimo decreto che ha un duplice titolo. Due espressioni che la astuzia ha volutamente unito: sicurezza e migrazioni. Non vanno di per sé insieme. Anzi. Ma si è voluto accentuare questo infelice ed infondato binomio, per motivare così i miopi provvedimenti presi.
La civiltà invece va sempre unita ad un’atra parola: futuro. Insieme civiltà e futuro sono sempre e da sempre un compito unico, permanente e responsabilizzante per tutti. Certo, chi ha più incarichi di potere è messo alla prova costantemente, come in una milizia di persone sagge, lungimiranti e integre che si cimentano a difendere il bene comune e a lasciare in eredità una società più leale e vivibile. Perché è difficile guardare verso la stessa direzione. Per la Politica soprattutto, e anche per la cultura e altro ambito in cui si incide sulla storia. Difficile ma non impossibile! Per vincere quello che lo scrittore Etienne Gilson avvisava come un vero pericolo di civiltà: «In mancanza di un amore comune, allora ci si accontenta di una paura comune».
E quando mi dicono come fare ad essere uniti, a perseguire una sola strada di alleanza, rispondo facendo riferimento a quello che la natura, con semplicità, ci insegna. Mi colpisce veder nascere e sbocciare dallo stesso stelo due rose. È quel mistero pacato dei due che sono in verità uno, che hanno certamente le proprie differenze e unicità, ma che germogliano dalla stessa pianta, appartenendo e condividendo, unite, lo stesso solo ramo.
I migranti sono una ricchezza non un pericolo. Un dono, non una paura. Vanno di certo ben accolti e soprattutto meglio integrati, specie insegnando loro la base di tutto che è l’apprendimento della lingua italiana. Ma un cuore aperto è segno di civiltà, per vincere la paura. Per crescere insieme, civiltà e futuro.