Asia Bibi, il coraggio della fede
Asia Bibi, il coraggio della fede
Nella durezza del mondo indifferente, quanti tornano a sperare sono «come un giardino irrigato, non languiranno più» (Ger 31,12). Così chi è liberato dalla disperazione, dall’indigenza, da ogni oppressione che sembrava non avere soluzione.
Bisogna gioire con tutto il cuore di quanto è successo in questa settimana. Mi riferisco all’annullamento della sentenza di morte nei confronti di Asia Bibi, la donna pakistana, sposa e madre di cinque figli di fede cristiana, rinchiusa in carcere da nove anni e ingiustamente condannata alla pena capitale per delitto di blasfemia, costretta all’isolamento, in una cella di due metri per due.
Riprende vita, rifiorisce alla luce dopo tanto buio. Il coraggio della sua fede è un esempio per tutti. Poiché ha creduto, non ha ceduto! La sua liberazione indica che nella vita non è sconfitto chi è colpito dalle ingiustizie più atroci, ma chi le concepisce e le mette in atto come pratiche mortali. Ha ragione Papa Francesco quando ci ricorda che «siamo nati per non morire mai più, siamo nati per godere la felicità di Dio!». E la gioia è perfetta quando è condivisa e non si arrende agli assalti del male.
Bisogna resistere! Opporsi alla corruzione con il bene perché sono beati quanti perseverano nell’amore, nella costruzione di una società a misura di bene comune, nella dedizione a Dio e alla propria dignità. Dialogando ultimamente col biblista Alberto Maggi, molto originale nel suo stile, lui portando il discorso sulla vita eterna mi ha spiegato che: «La vita eterna che Gesù offre si chiama così non per la sua durata infinita, ma per la qualità: la sua durata senza fine è conseguenza della qualità, e Gesù ne parla al presente. Non parla mai di una “vita” del futuro, come di un “premio” da conseguire dopo la morte, se ci siamo comportati bene nella vita, ma di una qualità di vita che è a disposizione subito per quanti accettano lui e il suo messaggio e con lui e come lui collaborano alla trasformazione di questo mondo. Gesù lo dice: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna (Giovanni 6, 54)».
Il messaggio è chiaro. La vita è tale se le diamo qualità. Ma quale? Quella dal sapore gratuito, soave, che fa il pieno della maternità di un Dio che non abbandona, che chiede di assumere pian piano i connotati di questo amore che libera e salva.
Vorrei accostarmi ad Asia Bibi, per un attimo inginocchiarmi davanti alle sue lacrime, alla sua sorgente di fede mai inaridita che l’ha resa capace di entrare in questo nuovo giorno. Possa ora recuperare quanto le è stato tolto per tanto tempo e occuparsi della sua famiglia che tanto l’ha sostenuta, andando incontro a persecuzioni e minacce di morte. Oggi è lei che si porta a tutti noi ricca di grazia, con le stimmate della fedeltà, perché ci insegna a non esitare a scegliere la tenerezza contro l’odio e la violenza.
L’unica croce che pesa e schiaccia è, infatti, quella che non trova ragioni di speranza nell’ora della prova e ragioni di consolazione tra le braccia di chi ha il potere di trasformare il pianto in gioia. E questo accade a chi spesso nella vita ritiene invece di confidare più nella disfatta del male che nella mansuetudine del bene, nelle proprie forze egoistiche piuttosto che lottare per un mondo più fraterno.
Rileggendo san Paolo risulta allora evidente che «la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio» (Romani 8,19). E questa rivelazione è comunicare vita, e dare attenzione alla vita e schierarsi sempre a difesa della vita.