È la giornata dell’arcobaleno
È la giornata dell’arcobaleno
Giornata perfetta per un arcobaleno. Sono riuscita a vincere il mio secolare terrore di pennelli e colori e mi sono dedicata insieme ai bambini a dipingere un vecchio lenzuolo: adesso, anche dal balcone di casa nostra, “tutto andrà bene”.
Ho peraltro dimostrato a me stessa che il terrore era fondato, visto lo stato in cui adesso si trovano i muri della nostra cucina: Luciano ci ha preso la mano ed ha cominciato a correre invasato, spalmando colore ovunque. “Sono fortunatissimo!” urlava. Io mi sono intenerita per qualche fatale secondo e ora gli interni di casa ne pagano le conseguenze. Ma poco male: c’è il Coronavirus, in questo periodo nessuno verrà a trovarci. Ovviamente, nonostante i grembiuli, dopo un’ora di pittura devo cambiare i vestiti di tutti i figli, intimo incluso (quando c’è da sporcarsi i bambini sono dei maghi) e improvvisamente mi coglie una tentazione: non potrei risparmiarmi questo giro di lavatrice?
Non potrei lasciarli tutti macchiati, che tanto siamo chiusi dentro e ci vediamo solo fra noi? Scuoto la testa un secondo dopo: no, assolutamente. Bisogna mantenere l’aspetto e le regole: togliere il pigiama, rispettare la tabella di marcia, lavare le macchie di tempera dai pantaloni. È così che dobbiamo andare avanti. Ed è la stessa disciplina che mantengo prima con me stessa e poi con gli studenti, anche se in classe per un po’ non ci andremo: a scuola voglio tutti in aula al suono del campanello, qui schermi accesi al minuto che indico. In aula si interviene uno per volta, ad alzata di mano: in ambiente virtuale, dopo qualche giorno di esperimenti, ci siamo dati la regola di spegnere tutti i microfoni, accendendoli solo quando si chiede la parola, altrimenti si rischia di sovrapporre le voci e io non riesco a rispondere a nessuno.
In classe tutti seduti ai banchi, in video ci si tiene composti. La regola, infatti, prevede di spegnere i microfoni ma non le telecamere: voglio vedere cosa fate, ragazzi, e soprattutto vedere che mi state ascoltando, anche se non posso girare fra i banchi. Dopo i primi giorni di entusiasmo per la nuova modalità, i miei alunni tenderebbero a far lezione stesi sul letto, indossando il pigiama di Topolino; a studiare poco, tanto al momento non sto interrogando; a consegnare i compiti oltre la scadenza (ma il programma è implacabile, perfino più di me, e quindi mi segnala ogni minuto di ritardo). Lasciarsi andare non va bene, e dove non c’è la severità dell’ambiente scolastico arriva più severa la mia voce: i compiti si consegnano puntuali, niente videoconferenze in pigiama, niente berretti da baseball quando parliamo di letteratura. È comunque scuola, anche se l’aula è in casa. La forma è sostanza.
Chiudo un lungo ripasso del Purgatorio, saluto e rimando alla prossima volta, come ogni giorno al suono del campanello. Fuori piove ancora, ma io e i bambini appendiamo comunque il nostro striscione. Probabilmente durerà poco, perché i colori sono acrilici e rischiano di colare via insieme all’acqua. Quindi scatto subito le foto; così, quando il Coronavirus lo avremo sconfitto, rimarranno i ricordi dell’arcobaleno e non della pioggia.
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