Tradita dal wi - fi, le lezioni diventano impossibili
Tradita dal wi - fi, le lezioni diventano impossibili
È davvero difficile far lezione oggi. Il wi-fi salta, inizio la videoconferenza con qualche minuto di ritardo. Due ragazzi non riescono a connettersi: una deve rinunciare, un altro si aggiunge quando abbiamo già corretto i compiti.
È difficile far lezione: oggi saremmo dovuti tornare sui banchi, a rivederci con sollievo; invece a scuola non ci andiamo, ma è comunque il lunedì peggiore dell’anno. Gli studenti mi sembrano agitati, temono per l’esito degli scrutini finali; li rassicuro come posso: Coraggio, ragazzi, non è colpa vostra, nessuno vi farà pagare le conseguenze di una pandemia. Ma oggi è difficile trasmettere motivazione. Forse sono io che non riesco a lasciare lontano dalla lezione il pensiero delle persone che stanno morendo. Molti sono anziani, alcuni sono nati durante una guerra e ora muoiono in un’altra. Il pericolo maggiore è per i pensionati, che rischiano di diventare dei numeri e invece sono gli stessi che aspettano i nipoti fuori da scuola, mentre i genitori lavorano.
Tante famiglie non saprebbero come fare senza l’aiuto degli anziani. I nostri figli sono molto legati ai nonni: Luciano ha avuto la reale misura della gravità della situazione quando sabato scorso gli abbiamo detto che non sarebbe andato a pranzo da loro. Credo sia stata la prima volta da quand’è nato. Mi ha guardato con un’espressione interdetta, neanche gli avessi detto che il sabato è stato ufficialmente abolito. E forse un po’ è così: qualcuno si è accorto che era arrivato il fine settimana? Qualcuno sa dirmi quando la tempesta finirà, visto che i ragazzi me lo chiedono e io non ho una risposta?
Basta, sono a lezione; cerco di concentrami e vado avanti: è la volta della Locandiera di Goldoni. L’altro giorno i ragazzi di quarta avevano studiato poco, vediamo se questa volta riusciamo a far di meglio. Le astuzie di Mirandolina mi appassionano; gli alunni sono più preparati; forse i rimproveri dell’altro giorno sono serviti a qualcosa; forse non sto lavorando per niente. Chiudo il collegamento: rimanete in casa e studiate, ragazzi. È importante. I miei figli nel frattempo hanno parlato coi nonni al telefono. Luciano mi raggiunge raggiante: «Sai mamma - racconta sfoderando un sorriso - sul mio albero di prugne sono spuntati i fiori». Io sono notoriamente negata con le piante (ma non è colpa mia: sono loro a suicidarsi appena raggiungono il mio balcone) ma a casa delle nonne ce ne sono alcune che i bambini considerano proprie.
Una di queste è uno striminzito alberello in vaso, a casa di mia madre: «La nonna - prosegue Luciano, sempre più infervorato - mi ha spiegato che dopo i fiori arriveranno anche le prugne. Dobbiamo andare a trovarla, voglio mangiarle!». Tolgo le cuffie e rispondo: «Amore, ti ricordi che non si può uscire? Che fuori c’è il Coronavirus e non possiamo andare a trovare nessuno?». Lui mi guarda con la pazienza che si riserva alle domande idiote: «Me lo ricordo bene, mamma. Ma quando saranno arrivate le prugne il Coronavirus sarà andato via». Già, sarà andato via. Ripenso agli anziani in casa di riposo; ripenso ad un filmato che mi hanno mandato gli studenti qualche giorno fa; riguardava Virgilio, l’Eneide che sto leggendo con loro. Enea prende per mano il figlio, si carica sulle spalle il vecchio padre e scappa da Troia in fiamme: «Su dunque, diletto padre, salimi sul collo. Ti sosterrò con le spalle, e il peso non mi sarà grave».