Il dilemma del voto con le lezioni online
Il dilemma del voto con le lezioni online
Fate lezione, ma senza voti. Anzi, no: metteteli. Ma non si era detto di no? Allora mettetene pochi. Come non detto, mettetene tanti: e che sia una valutazione formativa. Le indicazioni sono state molte, spesso contrastanti, da quando abbiamo iniziato questo strano periodo di scuola allo schermo. Una cosa soltanto si è capita: durerà molto più di quanto sembrasse. Si rincorrono notizie sugli esami light (come lo yogurt) e molto dipenderà dalla scadenza del rientro (scadenza: altra parola da yogurt).
Il problema della valutazione è cruciale: i voti danno sempre un messaggio chiaro agli studenti; al triennio concorrono all'attribuzione del credito scolastico, ovvero incidono direttamente sull'esito della maturità. La filosofia del «liberi tutti» rischia di danneggiare chi si è sempre impegnato, ed è un principio a cui non vogliamo sottostare. Dobbiamo bloccare la diffusione del Coronavirus, ma anche garantire il diritto all'istruzione. Evitare di penalizzare i deboli (che in streaming è difficile seguire), ma anche dare soddisfazione ai bravi. Rimaniamo convinti che «tutto andrà bene», ma non sappiamo come. Ieri, quindi, ho seguito un webinar sul tema "strumenti e valutazione nella didattica a distanza", già entrata nel linguaggio comune con l'acronimo DaD. Mai capito perché in Italia serva un acronimo per tutto.
Ammetto di non aver seguito con attenzione massima, perché Luciano si è seduto vicino a me ascoltando la lettura di una fiaba dal video della sua maestra. La vicinanza, però, scatena esplosioni di coccole, e quindi dovevo gestire gli assalti sbaciucchianti di mio figlio mentre prendevo appunti sulle ultime estensioni di Chrome, con esiti certamente migliorabili. Tuttavia a volte si ha l'impressione che i grandi tecnici, e i loro geniali formatori, non abbiano mai incontrato un adolescente se non in remoto. Quasi tutte le applicazioni che consigliavano si usano solamente da pc, mentre la maggior parte dei ragazzi si collega con smartphone. «Ma - diceva la formatrice - occorre entrare nella cultura del device personale come parte del corredo scolastico». Ah, ecco. La cultura del device personale. E come facciamo con quelle famiglie che non possono permettersi nemmeno le gite dei figli? Continuo a postare questa domanda in chat; nessuna risposta.
Seguiamo il seminario in tremila; è di gran lunga il corso di aggiornamento più numeroso al quale abbia mai partecipato. Molti di noi hanno difficoltà a dare, come ci si chiede, «un voto alla partecipazione». Come faccio a valutare la studentessa che ha un unico computer per tutta la famiglia e si collega quando può? E lo studente che usa un'unica rete Wi-Fi insieme ai vicini, con la voce che arriva a scatti? E quell'altro ragazzo che regolarmente esaurisce i Giga e deve sospendere la frequenza? «Bisognerà ragionare - dice la formatrice - in termini di diritto alla connettività, ed investire di conseguenza». Bisognerà investire. Allora sì che siamo tranquilli. E un'ultima cosa: la valutazione serve a dare motivazione ai ragazzi, che hanno bisogno di un obiettivo concreto e numerico. Ma se l'indicazione è «liberi tutti» quest'anno come si fa? «Ah, no! Adesso dovrete responsabilizzare gli studenti lavorando sulla motivazione intrinseca. Generare la passione per lo studio». Giusto. Accetto la sfida. Sarò un'insegnante che motiva gli studenti con l'amore per la cultura.
La prospettiva mi esalta, ma alla fine del webinar mi telefona una collega: «Ho somministrato la mia prima verifica online. Due studenti ad un certo punto sono scomparsi dallo schermo. Mi hanno scritto "prof, il computer si è rotto", non hanno consegnato e non li ho più visti». Fingo di non aver sentito e ripeto il mio mantra: motivazione intrinseca. Amore per la cultura. Tutto andrà bene.