Voglia di ripartire (con giudizio)
Voglia di ripartire (con giudizio)
Milano e la Lombardia sono una metafora del Paese. La capitale morale; poi la Milano da bere che ha portato in fretta alla capitale immorale, con tangentopoli e l'altra faccia della razza padrona; la capitale dell'Italia che rinasce, con l'Expò che s'annunciava come un grande flop e che invece ha fatto esplodere Milano, trasformandola, con Londra, nella New York di un'Europa sempre in cerca d'identità.
Ora Milano è la capitale della terra del virus: è qui che è iniziato tutto. Ma è anche la capitale dello sforzo immane di un'Italia incantevole, che è disposta a dare la propria vita per salvare quella degli altri, nonché la capitale delle contraddizioni perenni che caratterizzano il rapporto fra lo Stato e le Regioni. Il centro dice una cosa, la Lombardia ne dice e ne fa un'altra. Un po' per sfizio e dispetto, perché la Regione a trazione leghista non solo vuole autonomia da Roma, ma vuole anche mettere in difficoltà il premier che ha disarcionato Salvini. Un po' per ragioni oggettive, perché trovare una mediazione che vada bene a tutto il Paese è impresa impossibile. Non può però essere il Covid-19 il terreno dello scontro finale fra poteri centrali e poteri locali. La nostra legittima voglia di uscire di casa per ripartire - desiderio che diventa necessità assoluta, se si guardano i numeri di un collasso che non ha precedenti e che sta soffocando tutti - non può essere il pretesto per nuovi scontri istituzionali.
Stiamo arginando il mostro. Stiamo tornando - molto gradualmente e lentamente - alla normalità, anche se si dovrà pur ammettere che la normalità, se non altro sul fronte economico, si potrà ritrovare solo fra qualche anno. È dunque richiesta - da queste parti non meno che a Roma - una linea comune chiara. Le deroghe vanno bene: perché siamo l'Italia delle differenze e delle peculiarità. Ma solo se non sono forzature o fughe in avanti che tendono ad assecondare i nostri stati d'animo più che oggettivi riscontri scientifici. La Liberazione che s'è celebrata ieri in un silenzio che solo qualche timida «Bella ciao» cantata da pezzi di una comunità stremata, alcune belle bandiere tricolori e la struggente immagine solitaria del presidente Mattarella all'altare della patria, hanno trasformato in immaginario clamore, è memoria.
Non invito al "liberi tutti". Il Paese è in affanno e ha bisogno di rimettersi in piedi. Ma può e deve farlo all'interno di regole precise. La prima regole è una sola: un tampone (o un serio test sierologico) per tutti. Affinché chi sta bene possa rimettersi a lavorare, a respirare, ad andare a scuola, e affinché chi sta male o è comunque positivo possa curarsi seriamente ed essere provvisoriamente isolato, possibilmente senza essere considerato un appestato da una società che nei momenti di crisi tende (per fortuna) a dare il meglio, ma (purtroppo) anche il peggio di sé.