Il virus e l’«Urlo» dei miei studenti

Il virus e l’«Urlo» dei miei studenti

di Eliana Agata Marchese

L’urlo si sente lo stesso. I ragazzi ce l’hanno fatta: «L’urlo di Vitruvio», il loro giornalino, è uscito. Più forte della clausura. Questa volta i voti li danno loro: «10 ai nostri nervi - scrivono gli studenti - che nonostante tutto hanno retto. 8 a tutte le torte e le leccornie cucinate in questo mese e mezzo. 7 a chi è diventato divano-dipendente». Quando ci lavoravo come studentessa, nel seminterrato di un altro liceo, il giornalino era una specie di ciclostilato in bianco e nero.

Ne conservo qualche copia con tenerezza. Il look delle pubblicazioni dei miei alunni è molto diverso. Pagine a colori, carta patinata, come in una rivista da edicola. In tempi di scuola vera mi arrabbiavo con gli studenti, perché a volte chiedevano di uscire per venderlo durante l’ora di latino. Ma poi ne compravo regolarmente una copia e la leggevo insieme ai miei figli. Nell’epoca del Coronavirus anche «L’Urlo di Vitruvio» si è adeguato. È diventato un sito internet. Il link si trova nella home page del «Da Vinci», ed il giornalino guarda la pandemia con gli occhi degli adolescenti: collegamenti a siti didattici, consigli per tenersi in forma rimanendo in casa, una raccolta degli articoli migliori degli ultimi numeri. La mia pagina preferita, però, rimane quella dei voti. I ragazzi amano dare le pagelle alla realtà intorno a loro.

Poiché hanno meno pietà degli insegnanti, i numeri partono addirittura da zero, e nella parte bassa della classifica ci siamo spesso noi: «1 ai vicini di casa molesti che urlano e saltano, 2 ai professori che stracaricano di compiti». Mi faccio un veloce esame di coscienza e sorrido: bisognerà calibrare le consegne ancora meglio, adesso che le porte delle case finalmente si aprono. Non è una rivoluzione, ma si può camminare all’aperto. I ragazzi hanno voglia di uscire, hanno voglia di normalità.

Nei giorni scorsi è arrivata anche la richiesta degli alunni di quinta: vorrebbero ritrovarsi tutti, in autunno, insieme ai loro professori, per una festa dei diplomi. È terribile, per loro, finire l’ultimo anno di scuola in quarantena. Senza l’abbraccio ai compagni, senza l’uscita definitiva dall’atrio sempre lucido del «Da Vinci», senza un vero ultimo giorno. L’esame di maturità, ridotto al solo colloquio orale, sarà probabilmente in presenza: i ragazzi avranno la loro «notte prima degli esami», ma l’ultima uscita porta una gioia diversa. Speriamo che in autunno sia possibile restituire una festa a chi non ha avuto l’ultimo giorno; è un passaggio di vita. Magari riusciremo anche a salutare i colleghi che vanno in pensione, e certo non avrebbero immaginato di concludere così i loro decenni di insegnamento.

L’anno scorso avevamo festeggiato con una lunghissima tavolata in cortile: prima del Coronavirus, in effetti, si poteva brindare fianco a fianco. Sul dopo, ancora, non è dato sapere. Continuo a leggere il giornalino online. Spiego ai miei figli che sono stati gli studenti a pensarlo, volerlo, pubblicarlo nonostante tutto. «Mamma - chiede ad un certo punto Luciano - ma anche i tuoi ragazzi sono rimasti tappati in casa per tutto questo tempo con le loro mamme?». Certo, amore. Ci siamo tutti chiusi dentro per bloccare il contagio. Eppure non vogliamo isolarci: lo esprimono bene i ragazzi de «L’Urlo di Vitruvio».

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