Sperare in una vita migliore di prima
Sperare in una vita migliore di prima
Che il Coronavirus sia scappato da un laboratorio di Wuhan è un’affermazione che il presidente degli Stati Uniti sta diffondendo da tempo, senza peraltro portare in pubblico finora uno straccio di prova. A meno che le prove non le tenga in serbo per la campagna elettorale. Ma non è soltanto lui a immaginare errori umani o complotti.
E la gente si appropria di questa o quella notizia senza capire se sia vera o piuttosto una bufala, il clima di tensione che si è ormai creato rende più vulnerabili, pronti ad abbracciare le teorie di chi le spara più grosse perché quelle vengono diffuse come certezze, mentre ciò che afferma ogni giorno la scienza appare meno categorico e più incerto. La cautela, insomma, viene spesso scambiata per debolezza o ignoranza, mai che sia accettata come opportuna prudenza di chi è competente in materia.
La fase 2 sta facendo scoppiare queste insofferenze diffuse che spesso provocano atteggiamenti diversi. C’è chi non si fida e non mette ancora il naso fuori di casa e chi ha spalancato le porte e afferma che sono tutte chiacchiere, basta mascherine e distanziamenti, la vita va vissuta come prima, il virus porterà al massimo un’influenza, chissà mai cosa c’è sotto queste misure restrittive. Cosa c’è sotto? Eh, non vengono certo a dirtelo, ma loro lo sanno. Loro chi?
Il sospetto. La paura di essere ingannati per fini misteriosi, questa sì che è una schiavitù, non fidarsi può far diventare preda di chi fa serpeggiare informazioni senza averne titolo ma che dà per certe. Mentre, come spesso ripete un amico saggio, ciò di cui non si sa è meglio tacere.
Fra i sospetti più diffusi, ad esempio, c’è quello che riguarda certi personaggi ricchi, molto ricchi, che potrebbero sembrare filantropi fino a prova contraria. Ma la prova ancora non c’è. Fra questi, forse il primo della lista, è sicuramente George Soros, che circa un anno fa aveva firmato una lettera insieme ad altri 17 miliardari americani chiedendo che a loro venissero fatte pagare più tasse.
Con lui anche Bill Gates, il fondatore di Microsoft, l’uomo più ricco del mondo. Già alla vigilia dello scorso Capodanno aveva fatto sapere sul blog i suoi buoni propositi per il 2020: io e mia moglie dovremmo dare di più allo Stato, dovremmo pagare di più non sul lavoro ma sul capitale, ci aumentino le tasse sugli investimenti, le imposte sugli immobili e sui capitali congelati. Qualcuno ci crede, altri no. Certo il tema è di estrema attualità, soprattutto adesso che a causa del virus l’economia traballa e troppe persone non riescono più a far fronte alle spese, anche quelle della sopravvivenza quotidiana. E allora è normale, oltre che giusto, pensare che se tutti pagassero le tasse secondo le proprie possibilità, le cose potrebbero andar meglio. Lo pensa chi le paga, non ultimo lo sostiene in questi giorni un nostro lettore chiedendosi: e allora perché non si fa finalmente una sacrosanta e benedetta lotta totale all’evasione? Bella domanda.
Intanto continua la fase 2 ma la gente appare ancora sotto choc. Quando finirà? Quando si troveranno terapie e vaccini, unica soluzione che dovrebbe porre termine a una vita più o meno blindata? Qualcuno paragona le conseguenze del virus al periodo post bellico. Dalla guerra la gente è uscita, però ha rialzato subito la testa, ha lasciato libero sfogo alla voglia di recuperare il tempo perduto, non ha risparmiato le forze per rimboccarsi le maniche, lavoro ma anche svago, amici ritrovati, contatti stretti per il bisogno anche fisico di stare finalmente vicini, economia in ripresa. La guerra aveva portato fame, disperazione, morti, disastri, collasso economico, macerie, terrore. Per questo sembra di trovare una somiglianza col periodo attuale, ma quando la guerra è finita, quando le bombe non hanno più mietuto vittime e gli allarmi non hanno più fatto spavento, si sapeva che era finita. Quando invece il virus verrà sconfitto sarà più difficile rialzarsi con tranquillità perché il virus è un nemico invisibile. Ed è questo atteggiamento che tutti dovranno impegnarsi a superare affinché si possa tornare a vivere non come prima, ma meglio di prima. Con più coscienza individuale, con meno rabbia sociale. Per un mondo più bello.