La Francia si arrende dopo 6 giorni di guerra
La Francia si arrende dopo 6 giorni di guerra
La Francia si arrende. Con l’Italia la guerra è durata sei giorni
Ecco la prima pagina de “Il Brennero” del 18 giugno 1940: “La Francia depone le armi” e poi “Verso la nuova Europa” e ancora “Un incontro del Duce e del Fuehrer per fissare l’atteggiamento dei due paesi”. Poi nella cronaca di Trento “L’Italia delle mille vite, maestra di civiltà, di lavoro, di storia per tutti i popoli della terra”. Una pagina intera di slogan e sciocchezze. La guerra alla Francia è finita, le campane delle chiese cittadine suonano a distesa; piena di entusiasmo, di gioia la gente s’accalca attorno alle edicole, quelle di Piazza Fiera, di Largo Carducci e di Piazza d’ Arogno. Quel giorno il giornale, anzi il Quotidiano Fascista Tridentino che ha nella testata la frase “Col Duce per il Duce” è esaurito in poche ore e deve essere ristampato. La cosa infastidisce i vertici del fascismo cittadino perché se pochi giorni prima il giornale che annunciava la guerra alla Francia e all’Inghilterra aveva avuto molte rese, vuol dire che i trentini preferivano, anzi volevano la pace.
Dunque la guerra dell’Italia alla Francia è durata sei giorni, sono morti 631 soldati italiani per qualche chilometro di terreno conquistato, da affiancare alle vittorie tedesche. I soldati di Hitler sono entrati a Parigi e nel suo Diario, Galeazzo Ciano, Ministro degli Interni, genero del Duce e ufficiale della Regia Aeronautica che fissa con precisione l’andazzo di quelle prime giornate di guerra si legge: “Trovo Mussolini scontento. Questo improvviso scoppio di pace lo turba. Mussolini è molto umiliato dal fatto che le nostre truppe non hanno fatto un passo avanti. Anche oggi non sono riusciti a passare e si sono fermati di fronte alla prima opera fortificata francese che ha reagito. In Libia un generale si è fatto prendere prigioniero dagli inglesi…”. Addirittura sulle Alpi, quando un colpo di vento ha squarciato la nebbia, un intero reparto di Alpini e Camicie Nere si è trovato di fonte alle mitragliatrici francesi. Che non spararono altrimenti sarebbe stata una strage, però obbligando gli italiani, prima di ritirarsi, a lasciare sulla neve i caricatori delle armi. Ci sarà un altro episodio di rilievo quanto tragicamente inutile, nell’aggressione italiana alla Francia. Nella notte fra il 21 e il 22 giugno dieci bombardieri Savoia-Marchetti attaccarono Marsiglia in due ondate successive. La contraerea reagì senza successo e i caccia dell’ Armée de l’Air non riuscirono a fermare gli aerei italiani. Quella notte, 4.200 chili di bombe colpirono la città uccidendo 143 civili e ferendone 136.
La Regia Aeronautica aveva deciso di vendicare il bombardamento aereonavale di Genova e la rappresaglia era stata affidata ai bombardieri del 46º Stormo di stanza a Pisa. Decollano i trimotori Savoia-Marchetti S.M.79 della squadriglia del maggiore Galeazzo Ciano. Sempre dal Diario di Ciano: “Bombardamento dell’aeroporto di Bastia. Tiro efficace, anche la reazione francese è attiva e precisa. Rientrando al campo mi viene comunicato che è caduto il presidente del Consiglio di Francia Paul Reynaud e che al suo posto è ormai Pétain [Henri Philippe Omer, generale molto amato durante la prima guerra mondiale e da quel giugno a capo del governo collaborazionista di Vichy] e la pace è fatta. Infatti telefona Filippo Anfuso [grande amico di Ciano] di rientrare subito a Roma per partire in serata per Monaco di Baviera. I francesi hanno chiesto l’armistizio e Hitler, prima di dettarne le condizioni, vuole conferire col Duce”.
Ma “Il Brennero”, fedele al dettato delle “veline” che, uguali per tutti i quotidiani, arrivano da Roma, intitola “Fulminea e audace azione offensiva di 70 caccia italiani – le basi navali e di aviazione di Malta, della Corsica e dalla Tunisia bombardate”. Insomma la guerra alla Francia è appena finita, ma la verità continua ad essere travisata e le italiche imprese belliche enormemente gonfiate.
Da ricordare che proprio quel 22 giugno i delegati francesi avevano chiesto la fine delle ostilità e quando Hitler ricevette la notizia dell’intenzione che il governo francese voleva negoziare un armistizio, scelse la zona di foresta vicino a Compiègne come sede per le trattative. In quel luogo era stato firmato l’armistizio del 1918 che concluse la prima guerra mondiale. Nel. Diario di Ciano si legge che “Mussolini vorrebbe ritardare il più possibile [l’armistizio] nella speranza che il Regio Esercito arrivi a Nizza. Sarebbe una buona cosa, ma faremo in tempo?” Invece le truppe si fermarono alla periferia di Mentone e il 23 giugno “i plenipotenziari francesi sono arrivati a Roma a bordo di aeroplani tedeschi”. E’ un nuovo smacco per il Duce che si vede portare a Roma dai tedeschi i parlamentari francesi che “vengono da noi ricevuti alle 19,30 a Villa Incisa, sulla Via Cassia… il Duce ha la bocca amara perché all’armistizio avrebbe voluto giungere dopo la vittoria delle nostre armi. Oggi a Costantinopoli tutte le navi mercantili francesi hanno alzato bandiera inglese”. Appunto è la guerra contro l’ Inghilterra che da quel momento verrà chiamata “la perfida Albione” . Il conflitto non è finito”.
Achille Starace di ritorno dal fronte, dice che l’attacco sulle Alpi ha documento la totale impreparazione dell’ esercito: “Due giorni prima dell’armistizio si sono mandati gli uomini incontro ad una inutile morte, con gli stessi sistemi di venti anni or sono” cioè l’epoca della grande guerra sull’Isonzo e sul Carso. Starace era stato, fino alla fine del 1939 alla guida della Milizia; aveva fondato del Fascio di Trento con un programma politico che prevedeva una forte italianizzazione dei nuovi territori acquisiti all’Italia e la destituzione di tutti i podestà eletti sotto il governo asburgico. A Bolzano, l’ irriducibile avversario di Starace fu il borgomastro julius Perathoner che esternava apertamente la volontà di ricongiungere il Sudtirolo al Tirolo austriaco. In più occasioni Perathoner si rifiutò di esporre il Tricolore sugli edifici pubblici. Starace è indicato come protagonista della “domenica di sangue”.
Era il 24 aprile del 1921, c’era a Bolzano la Fiera campionaria quando i fascisti assalirono un corteo di sudtirolesi; fu ucciso Franz Innerhofer il maestro elementare che accompagnava i suoi scolari durante il tradizionale corteo e ci furono 66 feriti. Due fascisti furono arrestati, ma mai processati: dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, il tentativo della vedova di avere giustizia o almeno il pagamento dei danni non ebbe alcun esito. Quel delitto rimase insabbiato.
Mussolini e Ciano partono la sera del 17 giugno per Monaco. Ancora dal Diario di Ciano: “Durate il viaggio parliamo a lungo… il Duce è estremista, vorrebbe procedere all’occupazione totale del territorio francese e prendere la consegna della flotta per evitare un congiungimento a quella inglese, ma si rende conto che il suo parere ha un valore consultivo. La guerra è stata vinta da Hitler senza il concorso militare attivo dell’Italia ed è Hitler che avrà la parola. Ciò, naturalmente, lo turba e lo rattrista. Le sue riflessioni sul popolo italiano e soprattutto sulle nostre forze armate sono di estrema amarezza”. Mussolini vantava otto milioni di baionette inastate sul moschetto 91. Il Regio Esercito si muoveva a piedi, mentre gli altri esercii avevano carri armati, aeroplani, navi portaerei. A proposito di aerei. Nel primo mese di guerra la Regia Aeronautica perse 250 velivoli, gli inglesi affondarono nel Mediterraneo otto sommergibili e le navi della Regia Flotta rimasero per lo più nei porti perché non avevano scorte di carburante. “In realtà il Duce – è sempre Ciano a scriverlo – teme che l’ora della pace si approssimi e vede svanire ancora una volta quello che è stato l’inafferrabile sogno della sua vita: la gloria sui campi di battaglia”.
Figura stranissima quella di Ciano. Scrisse – era il 30 maggio del 1950 – Sumner Welles assistente del presidente Roosevelt, che Ciano era “accerchiato dai legami familiari, subiva l’effetto corruttore del fascismo… non nutriva alcuna illusione su quello che avrebbe riservato all’Italia un’ Europa dominata dai tedeschi”. Il suo Diario è il racconto puntuale della tragedia italiana che rende evidente la sua incapacità di mutare la strada su cui Mussolini si era incamminato. Proprio la pagina sulla resa della Francia testimonia l’incontrollabile megalomania del Duce.
(7. continua)